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Acciaio, la Cina non molla: produzione al record storico

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Acciaio, la Cina non molla: produzione al record storico

Il fiume di acciaio in arrivo dalla Cina aveva appena cominciato a rallentare. Ma in marzo la piena è risalita: è bastato che la ripresa stagionale dei consumi facesse alzare i prezzi a livello locale perché la produzione salisse al massimo storico di 70,65 milioni di tonnellate, in rialzo del 2,9% rispetto a un anno fa. Nel frattempo le esportazioni di Pechino, che stanno strangolando le imprese siderurgiche di mezzo mondo, sono balzate addirittura del 30% a sfiorare 10 milioni di tonnellate: più dell’intera produzione mensile nordamericana.

Qualcosa di simile è avvenuto con l’alluminio, altra materia prima di cui Pechino ha inondato i mercati globali: il mese scorso l’export di semilavorati, spesso impiegati come rottame dalle fonderie occidentali, è rimbalzato del 50% da febbraio, a 420mila tonnellate.

Dati sconfortanti per l’industria europea e nordamericana, da anni impegnate in una lotta impari contro la concorrenza cinese, che riversa sui mercati internazionali quantità crescenti di metallo sotto costo: un fenomeno che si è accentuato da quando lo sviluppo economico in Cina ha rallentato il passo. Gli ultimi dati, diffusi ieri, indicano che il Prodotto interno lordo è cresciuto del 6,7% nel primo trimestre, il minimo dal 2009.

Ironicamente solo due giorni fa Pechino, sotto pressione degli Stati Uniti, che l’avevano denunciata alla Wto, aveva accettato di cancellare le agevolazioni fiscali all’export in sette categorie di produzione, tra cui i materiali avanzati, che comprendono alcune qualità speciali di acciaio e alluminio.

Il Governo americano, che ha dato la notizia presentandola come un grande successo diplomatico, non ha fornito l’elenco dettagliato dei prodotti interessati, ma ha detto che negli ultimi tre anni le imprese coinvolte hanno ricevuto 1 miliardo di dollari di aiuti. Si tratta insomma di una goccia nel mare, rispetto agli enormi benefici di cui godono normalmente le grandi industrie cinesi, tra bassi livelli retributivi, sgravi fiscali di ogni genere, elettricità e acqua a prezzi sussidiati. Il gesto di Pechino, benché apprezzabile, a giudizio degli esperti sembra insomma avere una valenza più che altro simbolica, che non porterà sollievo alle martoriate industrie metallurgiche occidentali. Nell’immediato potrebbe anzi addirittura accelerare l’export cinese.

Solo in Europa le acciaierie hanno perso 75mila posti di lavoro, ossia circa il 20%, dal 2008. E le sofferenze non sono ancora finite, come sa bene l’Italia e non solo: l’uscita di Tata Steel rischia di cancellare l’industria britannica dell’acciaio. Alla minaccia cinese sembra peraltro essersi aggiunta di recente anche quella di altri grandi produttori asiatici:  Giappone e Corea del Sud, riferisce la Reuters, in reazione alla concorrenza cinese hanno cominciato a tagliare i prezzi di esportazione dell’acciaio, riducendoli fino a un terzo rispetto ai listini applicati sui mercati domestici.

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