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La sfida del Fintech: riusciranno le banche a non fare la fine delle…

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La sfida del Fintech: riusciranno le banche a non fare la fine delle agenzie di viaggio?

«Disintermediazione». È una parola che spaventa molti lavoratori che temono di essere tagliati fuori dalle innovazioni tecnologiche che, anno dopo anno, stravolgono il mercato del lavoro. Le agenzie di viaggio, solo 20 anni fa, si mescolavano nelle nostre strade a panettieri e negozi di abbigliamento: provate a cercarne una nelle vostre città. Molti settori sono interessati da un processo che non è solo tecnologico ma che la tecnologia trova comunque il mondo di cambiare: in particolare i servizi bancari. Perché costringersi ad operare solo dall’interno di una filiale bancaria, quando oggi sul proprio smartphone è possibile videotelefonare in tutto il mondo a costo zero, leggere libri o giocare all’ultimo videogame?

Il mondo bancario si interroga da tempo sugli effetti che l’innovazione tecnologica provoca sulla platea di consumatori di servizi finanziari: sia per ciò che riguarda la disintermediazione dell’accesso ai mercati e alle operazioni di transazione e bonifico, per esempio, sia per come cambia - anche psicologicamente - la relazione e i rapporti di forza tra l’offerta e la domanda di servizi finanziari. A questo tema Capgemini ha dedicato il World Retail Banking Report 2016, realizzato sulla base di dati acquisiti da oltre 16mila clienti di 32 Paesi.

La sfida banche vs. Fintech
Chi sono i provider finanziari Fintech? Sono soggetti che agevolano il trasferimento di denaro, sottoscrizione di strumenti di investimento, comparatori di strumenti assicurativi, previdenziali e di investimento, fino a prestiti peer-to-peer. Un elenco ovviamente provvisorio, almeno a sentire i progetti di colossi come Apple e Faceook, che hanno l’ambizione di entrare nel mercato finanziario: e potenzialmente per stravolgerlo. L’indagine conferma che la finanza è fortemente contaminata dalla tecnologia e non può più tornare indietro: il 63% dei clienti utilizza oggi prodotti o servizi tecnologicamente avanzati e costoro sono più propensi a consigliare a parenti e amici il proprio provider FinTech (55%), piuttosto che la propria banca (38%).

Solo per il 36% dei bankers e solo il 40% ha un’esperienza positiva della velocità e della facilità di fruizione dei servizi finanziari hi-tech. Di parere ben diverso l’opinione dei millennials e dei consumatori dei paesi emergenti che considerano la facilità di fruizione un elemento positivo nell’82% dei casi e la velocità un punto di forza nell’81%. Ergo: le banche stanno sottostimando il mercato. E rischiano grosso. In quale comparto? Martin Wolf citava recentemente la testimonianza di Secondo Andy Haldane, Chief Economist and Executive Director della Banca d'Inghilterra, secondo il quale il costo unitario dell'intermediazione finanziaria negli Stati Uniti è invariato da oltre un secolo; la redditività per l’industria è in funzione della grandezza di portafoglio. Il che rivela come sia ormai tutta una questione di costi - e non (molto) di qualità del servizio - e che di conseguenza l’intermediazione finanziaria sia sempre più simile a una commodity.

Non solo: i proventi della finanza si limitano a salire e scendere con il valore del patrimonio, e questo è un segnale che la rendita la fa da padrona. A ciò bisogna aggiungere che 10 milioni di famiglie americane e un milione e mezzo di adulti nel Regno Unito non possiedono ancora un conto corrente.

Chi vince la partita dalla fiducia
Le banche considerano come proprio principale punto di forza la fiducia (70%); ma FinTech stanno rapidamente avvicinandosi: la quota di clienti che ha completa o parziale fiducia nel proprio provider FinTech supera l'88% in tutte le regioni esaminate. Ma, nonostante il ritmo dei cambiamenti acceleri sempre più - preoccupazione del 90% degli executive bancari - meno di un quarto di costoro ritiene di essere in vantaggio rispetto alle società FinTech in termini di agilità o capacità di innovare per affrontare queste sfide.

Vero è - sottolineano i ricercatori di Capgemini - che la “costumer experience delle banche è migliorata molto negli ultimi tempi: +2,9% l’indice Customer Experience Index (Cei) delle banche, con un segno positivo in oltre l'85% dei Paesi analizzati. In Italia si evidenzia un miglioramento di 3,1 punti, passando dai 72,6 del 2015 ai 75,7 del 2016. Tuttavia, questo progresso complessivo non si è tradotto in risultati tangibili e comportamenti redditizi da parte dei clienti, almeno in termini di, per esempio, fidelizzazione, raccomandazioni e cross-selling. Ne deriva un altro allarme per chi lavora in banca: solo il 16% dei clienti ha affermato di essere orientato ad acquistare ulteriori prodotti dal proprio istituto di ricerca. Il che non lascia molte prospettive di crescita per gli istituti di credito.

La vulnerabilità dei business tradizionali
Ma allora su quale terreno le FinTech possono sbaragliare le banche tradizionali? A livello mondiale, gli istituti di credito ricavano l'astronomica cifra di 1.700 miliardi di dollari, il 40 per cento del totale dei ricavi, dalla gestione dei pagamenti. Nell'era dell'informatica, eseguirne uno può richiedere ancora ore, o perfino giorni: tempi biblici, vista la velocità di oggi. «Le banche stanno affrontando in misura diversa questo scenario di cambiamento. In Italia, la percezione delle FinTech come minaccia è sentita; sicuramente le banche sono consapevoli che il consumatore è sempre più esigente, mostra nuove aspettative e se le banche non dovessero soddisfarle sono pronti a rivolgersi a nuovi player», dichiara Monia Ferrari, Head of Sales Banking di Capgemini Italia.

Si passa alle contromisure, ma non è detto che basti: mentre il 96% degli Executive bancari concorda sul fatto che il settore si stia evolvendo verso un ecosistema improntato al digital banking dove le FinTech giocano un ruolo rilevante, solo il 13% afferma di avere i sistemi in grado di supportarlo. In ogni caso quasi due terzi degli executive bancari intervistati pensano di dover considerare i provider FinTech come partner, dove la maggioranza delle strategie di sviluppo bancario assume la forma di collaborazione (46%) e di investimento (44%). Meno di un quinto (18%) prevede di acquisire operatori FinTech o le relative tecnologie.

Brevi cenni sul futuro (tanto presente....)
Il che non significa certo che la partita sia ormai persa: come accaduto in altri settori, in occasione di rivoluzioni tecnologiche, alcune operatività andranno a decadere, esaltandone altre. Quali? Se effettuare un bonifico sarà - tra pochissimo - molto facile, diverso è il discorso sul tema consulenza finanziaria: qui i robot advisor provano ad evolversi per offrire soluzioni raffinate e articolate ma difficilmente la relazione consulenziale può essere sostituita da un software, un tool o comunque dalla tecnologia. Anche perché l’esito finale di un processo tecnologico è sempre parametrato all’obiettivo impostato inizialmente, mentre pertiene alla relazione interpersonale l’evoluzione degli obiettivi, la crescita delle ambizioni, la creazione di un valore inatteso e superiore. Su questo già si stanno sintonizzando le reti di consulenti e promotori finanziari: e pare una strada appena avviata.

«Se la FinTech eccelle in termini di agilità, innovazione e sfruttamento delle nuove tecnologie - si legge nel rapporto Capgemini -, il settore bancario detiene i capitali, la profonda base di clienti e la competenza nel lavorare con gli enti regolamentari. Nell'era digitale le banche devono pensare in grande nell'andare incontro all'evoluzione delle esigenze dei clienti. Le due principali priorità saranno rilanciare i sistemi di base e ottenere una completa competenza nello sviluppo di software basato su API . Le banche saranno in grado di concretizzare tutto il loro potenziale di crescita solamente accettando il ruolo dei provider FinTech e creando occasioni per collaborare con essi all'interno di una rete finanziaria digitale che continua a evolvere.

Fantascienza? Dipende: come ha detto Bill Gates «Tendiamo sempre a sopravvalutare i cambiamenti che avverranno nei prossimi due anni e a sottovalutare i cambiamenti che avverranno nei prossimi dieci». Il che significa che il primo ad aprire la via è quello che non porta a casa nulla. Google insegna che è meglio arrivare dopo - nel caso di specie nel mondo dei motori di ricerca - ma con l’arma vincente, ossia l’algoritmo giusto. Anche in finanza.

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