Parlare di guerra del gas forse è eccessivo, anche se molti analisti non esitano a definirla così. Di certo sul mercato qualcosa si sta muovendo: i grandi fornitori dell’Europa - Russia, Norvegia, Algeria e Qatar - sono sulla difensiva di fronte ai fiumi di Gas naturale liquefatto (Gnl) che minacciano di arrivare nel Vecchio continente, un territorio che fino a poco tempo fa consideravano alla stregua di una riserva di caccia privata e inviolabile.
Basta osservare i flussi nei gasdotti per osservare che c’è un grande fermento. L’export di gas algerino verso l’Italia è improvvisamente più triplicato, tornando ai livelli di tre anni fa e spiazzando forniture concorrenti in arrivo dal Nord. Mosca e Oslo d’altra parte, nonostante il recente passo indietro sul nostro mercato, esportano da mesi volumi record, contribuendo a deprimere i prezzi, già molto bassi, del combustibile. Il tutto proprio mentre in Europa sta arrivando il primo carico di Gnl «made in Usa»: la metaniera Creole Spirit, salpata il 15 aprile dal terminale Sabine Pass di Cheniere, in Louisiana, è attesa a giorni in Portogallo.
La coincidenza di eventi sta offrendo nuova linfa alla teoria secondo cui sul mercato del gas si starebbero scatenando le stesse dinamiche che ormai da due anni condizionano quello del petrolio: i produttori a basso costo impegnati in una lotta all’ultimo sangue per difendere le quote di mercato, di fronte alla minaccia dello shale americano (inteso stavolta come shale gas, invece che shale oil).
Nel ruolo dell’Arabia Saudita in questo caso ci sarebbe la Russia: nonostante tutte le sue difficoltà, Gazprom - grazie anche alla svalutazione del rublo - ha costi di estrazione e di trasporto molto bassi. Inoltre ha una capacità produttiva di riserva (la cosiddetta spare capacity) di ben 100 miliardi di metri cubi di gas, pari a quasi un quarto del suo output e circa il 3% dell’offerta mondiale.
In realtà nel breve termine nessuno si attende volumi importanti di Gnl dagli Stati Uniti. Nonostante il grande valore simbolico (e politico) della prima fornitura americana, i tradizionali fornitori europei per ora sono minacciati soprattutto dal gas liquefatto - spesso qatarino - che un tempo sarebbe andato in Asia, ma che oggi è stato spiazzato dallo sviluppo impetuoso delle forniture australiane, che giungono sul mercato in una fase di consumi deboli.
Anche se l’arcinemico stavolta non fosse lo shale, vedere la Russia alla guida di una guerra dei prezzi è comunque uno scenario suggestivo. Tra quanti lo suggeriscono ci sono peraltro analisti autorevoli, Thierry Bros di Société Générale, secondo cui Mosca dovrebbe sacrificare appena 1,3 miliardi di dollari di introiti per riuscire a tenere il Gnl americano lontano dall’Europa. «I russi - afferma Bros - hanno fatto i loro conti e sanno di poter vincere».
Gazprom nega di voler aprire le ostilità. «Non abbiamo nessun bisogno di lanciare una guerra dei prezzi - ha assicurato in febbraio il vicepresidente Alexander Medvedev - Siamo molto rilassati nei confronti del Gnl Usa anche se restiamo vigili». In realtà, fonti vicine a Gazprom hanno riferito al Sole 24 Ore che il colosso russo sarebbe orientato a una strategia diversa da quella saudita, ossia conquistare un ruolo più attivo sui principali hub del gas europei in modo da avere maggiore influenza sui prezzi spot. I suoi dirigenti sono particolarmente irritati dalle «speculazioni di operatori midstream», che rivendono forniture contrattuali russe sugli hub, non solo deprimendo i prezzi, ma neutralizzando l’efficacia delle clausole take or pay (che impongono penali ai clienti che non ritirano una quantità minima di gas).
Comunque stiano le cose, è indubbio che in Europa stiamo assistendo quanto meno a una difesa delle posizioni sul mercato. «È chiaro a chiunque - osserva Jonathan Stern, dell’Oxford Institute for Energy Studies - che se fallissero aprirebbero le porte a più Gnl, non solo Usa ma qualsiasi Gnl».
La Russia, che si è dimostrata molto disponibile nel rinegoziare i contratti, nel 2015 ha aumentato le esportazioni dell’8,2% al record di 158,6 miliardi di metri cubi e quest’anno i suoi volumi sono ancora in forte aumento, così come quelli della Norvegia.
Ora l’Algeria sembra essere venuta alla riscossa, sul fronte meridionale dell’Europa: l’export attraverso i gasdotti che la collegano a Italia e Spagna è improvvisamente esploso da inizio aprile, dopo che da anni si era ridotto al lumicino, in modo che sembrava strutturale visti i crescenti consumi interni e il declino dei giacimenti. I dati Snam Rete Gas mostrano arrivi quasi sempre superiori a 50 milioni di mc al giorno, con punte superiori a 62 milioni, un record da 3 anni. La media giornaliera nel 2015 era stata di 19 milioni di mc. In parallelo l’import dalla Russia è sceso fino a un minimo di 46,5 milioni di mc, dai 77 milioni del 1° trimestre, quello dal Nord Europa via Svizzera fino a 6,3 milioni, un terzo rispetto al mese scorso.
Il motivo potrebbe essere banale: a fine marzo, spiegano fonti riservate, è scaduta una moratoria di due anni sui take or pay, che i clienti italiani (e forse anche spagnoli) avevano concordato con l’algerina Sonatrach, che a differenza di Gazprom non voleva invece cedere sul fronte dei prezzi. Ora le clausole sono dunque tornate in vigore. Altri esperti aggiungono che, ai valori attuali, gli algerini non hanno convenienza a liquefare il gas, dunque ne inviano maggiori quantità via pipeline. Niente guerra dei prezzi, insomma. Forse.
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