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Etruria, altri 45 milioni di crediti in conflitto

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Etruria, altri 45 milioni di crediti in conflitto

  • –Sara Monaci

MILANO

Tra le cause della bancarotta fraudolenta di Banca Etruria ci sarebbero anche 45 milioni di affidamenti in conflitto di interessi mai restituiti - oltre ai 18 milioni già evidenziati dalla Banca d’Italia nel corso delle ispezioni. Totale: oltre 60 milioni di fidi, concessi tra il 2009 e il 2014, a società riconducibili ai membri del cda guidato da Giuseppe Fornasari (indagato per ostacolo alla vigilanza e emissione di fatture false).

Secondo la ricostruzione degli inquirenti i fidi venivano garantiti da terreni inesistenti, case descritte come castelli e beni sopravvalutati. Il tutto in modo particolarmente palese.

Spuntano anche 18 milioni di consulenze non motivate e fin troppo generose, che solo in parte coincidono con quelle già messe in evidenza da Bankitalia e dal commissario liquidatore Giuseppe Santoni, per 17 milioni. Le consulenze, dietro cui si nasconderebbero forme di favori, potrebbero quindi arrivare a circa 30 milioni.

Sono questi i numeri emersi dalle prime informative della Guardia di finanza di Arezzo inviate alla procura aretina guidata da Roberto Rossi. Il materiale è ancora allo studio: gli inquirenti starebbero infatti valutando i profili di responsabilità individuale. Non tutti i membri del cda sarebbero infatti coinvolti in questi ultimi reati. Sotto la lente c’è il penultimo consiglio, dentro il quale PierLuigi Boschi era consigliere (e proprio la sua posizione sembrerebbe alleggerirsi in queste ultime fasi dell’indagine).

Per quanto riguarda l’ultimo cda, guidato da Lorenzo Rosi e rimasto in carica per soli 8 mesi, il comportamento «distrattivo» che avrebbe contribuito a creare la bancarotta fraudolenta è, per gli inquirenti, la sola liquidazione dell’ex dg Luca Bronchi, a cui sono stati recentemente sequestrati 414mila euro a favore della banca aretina. Per questo singolo episodio sono finiti nel mirino della procura proprio Rosi e Bronchi (mentre dovrebbero uscire dall’indagine in questo segmento gli altri consiglieri, tra cui Boschi, che in questo cda ricopriva il ruolo di vicepresidente senza deleghe).

Da questa attività partirà ora una nuova fase dell’inchiesta, con nuovi approfondimenti e nuovi interrogatori.

Proseguono intanto anche le indagini sulla truffa, relativamente alla vendita dei 100 milioni di obbligazioni subordinate nel corso del 2013. Ci sarebbero già 8 indagati, tra funzionari e direttori, e il numero sembra destinato a crescere.

In quell’anno Bankitalia chiese un rapido aumento di capitale e il cda tentò con ogni mezzo, sostengono gli inquirenti, di rimpinguare le casse al fine di non dichiarare lo stato di dissesto finanziario. Per questo, secondo le ricostruzioni della procura, la banca varò lo strumento delle obbligazioni subordinate (che possono essere considerate, dal punto di vista del rafforzamento patrimoniale di una banca, come una via di mezzo tra bond e azioni, e quindi ascrivibili al Tier 2). In molte filiali furono vendute con presunti comportamenti truffaldini, modificando i profili dei clienti non in grado di comprenderne i rischi. Oggi, dopo il fallimento, più di 10mila clienti hanno perso tutto l’investimento e si cerca di capire per quanti di loro si può parlare di raggiro e truffa.

Per la procura però il vero obiettivo è comprendere se la vendita, con queste modalità opache, fu richiesta dallo stesso cda. Si cercano le prove, e potrebbero sbucare atti, documenti o circolari in cui tale indicazione possa risultare evidente. L’obiettivo sembrerebbe vicino.

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