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Cina alle prese con una nuova «bolla» speculativa: questa…

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Cina alle prese con una nuova «bolla» speculativa: questa volta tocca alle materie prime

Prima l’immobiliare, poi le azioni e adesso le materie prime. In Cina si è sviluppata una nuova bolla, che sta già provocando ripercussioni a vasto raggio, ma che potrebbe diventare davvero pericolosa se esplodesse, come insegna il crollo delle Borse di Shanghai e Shengzhen, che l’estate scorsa ha mandato in fumo 5mila miliardi di dollari, con reazioni a catena che hanno destabilizzato a lungo i mercati finanziari globali.

Forti dell’esperienza, le autorità di vigilanza questa volta sembrano un po’ più reattive: la China Securities Regulatory Commission (Csrc), secondo indiscrezioni raccolte da Bloomberg, sarebbe pronta ad imporre limiti più rigidi alle oscillazioni di prezzo, se la volatilità raggiungesse livelli elevati come la settimana scorsa. Anche la China Futures Association ieri ha invocato controlli più severi per arginare i rischi, accentuati dalla presenza di un gran numero di speculatori non professionisti: piccoli risparmiatori che si erano tuffati in massa sulle Borse ma che adesso, scottati dalle azioni e spaventati dalla catena di default su obbligazioni, hanno scoperto il day trading sulle materie prime.

Il fenomeno - complice la presenza di 2.340 miliardi di liquidità in Cina a marzo - ha raggiunto dimensioni spaventose. La settimana scorsa in una sola seduta a Shanghai si è arrivati a scambiare future sulla vergella equivalenti a un terzo di tutta la produzione locale di acciaio. Per il minerale di ferro il volume a Dalian ha raggiunto livelli paragonabili all’output dei tre maggiori fornitori mondiali, Bhp Billiton, Rio Tinto e Vale, mentre per il cotone a Zenghzhou ci sono stati scambi per 41 milioni di balle: abbastanza per fabbricare 9 miliardi di pantaloni jeans, calcola Bloomberg .

Le principali borse dei futures sono intervenute (cosa che d’altra parte nel 2015 avevano fatto anche le borse azionarie) e almeno per il momento sono riuscite a calmare le acque. Nell’ultima settimana sia la Shanghai Futures Exchange, che la Dalian Commodities Exchange e la Zenghzhou Commodities Exchange hanno alzato più volte le commissioni di negoziazione e le richieste di depositi di garanzia. Dalian - dov’è scambiato un future sul minerale di ferro ormai cruciale per orientare i mercati siderurgici, anche fuori dalla Cina - ha avvertito che non esiterà ad irrigidire ulteriormente le misure contro la speculazione, in particolare per «restringere gli spazi eccessivi lasciati ai profitti dei trader di breve termine».

I prezzi, benché tuttora elevati, hanno iniziato a raffreddarsi: il minerale di ferro a Dalian, che al picco registrava rialzi del 73%, questa settimana ha perso circa il 6%, la vergella a Shanghai - che era arrivata a guadagnare il 62% - è arretrata di oltre il 4%. Più deciso è stato l’effetto sui volumi di scambio, che sono calati di circa il 40% rispetto a giovedì scorso, quando erano letteralmente impazziti, raggiungendo tra Shanghai, Dalian e Zenghzhou un controvalore paragonabile a quello degli scambi a Wall Street: 1.700 miliardi di yuan, ossia 261 miliardi di dollari. Ai livelli attuali, intorno a 1.000 miliardi di yuan, restano comunque superiori di oltre un terzo rispetto a un anno fa.

Il settore della finanza si sta del resto sviluppando a un ritmo sostenuto in Cina: i fondi comuni - che stanno lanciando molti prodotti focalizzati sulle commodities - a fine 2015 avevano in gestione 8.400 miliardi di yuan (1.300 miliardi di $). Il Governo inoltre non ha mai fatto mistero di voler rafforzare i mercati locali delle materie prime per accrescere l’influenza di Pechino sulle dinamiche dei prezzi. Nel settore siderurgico l’obiettivo è stato raggiunto: l’andamento dei futures cinesi su ferro e acciaio oggi condiziona i prezzi sul mercato fisico. Per i metalli non ferrosi l’influenza è meno diretta, ma chi opera al London Metal Exchange di certo non può più ignorare i prezzi a Shanghai (senza contare i raid speculativi che gli hedge funds cinesi hanno iniziato a compiere direttamente a Londra). Da pochi giorni la Cina ha varato un suo benchmark sull’oro ed entro fine anno è in programma il debutto di un future sul petrolio.

Già oggi 6 dei 10 futures più scambiati al mondo sono cinesi e quello sulla vergella è addirittura balzato al primo posto, diventando più liquido di quello sul petrolio Wti.

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