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Lactalis e Parmalat: storia di un matrimonio problematico

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VENERDÌ L'ASSEMBLEA

Lactalis e Parmalat: storia di un matrimonio problematico

Dopo 4 anni, lo spettro di Lag torna ad agitare le acque, già peraltro molto mosse, di Parmalat. Lactalis, il gigante alimentare europeo padrone del più famoso marchio italiano del latte, si prepara a spegnere 5 candeline in Italia. Ma non è un compleanno sereno, rovinato dagli strascichi di un'operazione molto contestata, e finita anche sotto la lente dei magistrati. Parmalat, nel 2012, ha pagato 900 milioni di dollari (poi scesi a 770) per comprare dalla stessa Lactalis la società americana Lag. Fin dall'annuncio, il mercato si spacca: le minoranze gridano allo scippo del «tesoretto» di Parmalat, 1,4 miliardi di liquidità all'epoca. Da Collecchio hanno sempre difeso la decisione come un'operazione industriale che ha creato valore.
Ma oggi, all'assemblea degli azionisti, il collegio sindacale, con un presidente peraltro dimissionario, dovrà raccontare quello che sa su quella che ormai è una telenovela. Il fondo attivista Amber, socio di minoranza che da anni ha ingaggiato una battaglia con Lactalis, è tornata a dichiarare guerra con un nuovo, e più pesante, esposto. DeJaVù si dice in francese, lingua che in Parmalat hanno imparato a parlare.

Lag è stata un'operazione pensata e nata in un potenzialmente enorme conflitto di interessi: il compratore, ossia Parmalat, è di proprietà dello stesso venditore, Lactalis che si auto-vende un asset dal quale ricava presiosa liquidità. La polemica finì in Tribunale perché Amber denunciò l'operazione alla Consob (ex articolo 2409 codice civile) e partì un'indagine della Procura di Parma che si è chiusa con la vittoria di Parmalat (per la parte civile), ma anche uno sconto sul prezzo. Ma la battaglia non è ancora finita: è ancora in piedi il filone penale, che nel frattempo è stato trasferito da Parma a Roma (il reato ipotizzato è ostacolo alla vigilanza). E ora emergono dettagli inediti: l'informativa della Guardia di Finanza di dicembre 2014 (basata su scambi di email), che Il Sole 24 Ore ha potuto consultare, ricostruisce un quadro con molte ombre. Quella tra Lactalis e Parmalat appare come una relazione ambigua, dove il confine tra le due aziende (e I relativi interessi) è spesso indistinguibile e dove manager come Antonio Sala, all'epoca proconsole di Lactalis in Italia e (oggi ex) consigliere di amministrazione di Parmalat, hanno un ruolo controverso.

Lactalis e la “cassa comune” con Parmalat
Dopo appena 100 giorni dalla scalata dei francesi a Collecchio, Parmalat annunciò che avrebbe aderito al meccanismo di cash pooling della galassia Lactalis, ossia la condivisione della tesoreria. Un sistema molto diffuso tra le multinazionali, ma che di fatto, sostiene la Gdf, consegnava la cassa della ricca Parmalat nelle mani dell'indebitata Lactalis.
Da più parti erano stati sollevati dubbi su questa pratica: per prima la stessa Mediobanca, la banca d'affari che aveva affiancato la schiva famiglia Besnier proprietaria di Lactalis nell'assalto a Parmalat. In una informativa, rivelano le indagini, Alberto Rosati, top banker (ora uscito dall'istituto) fa notare che l'operazione «non sarebbe conforme alle politiche di tesoreria di Parmalat, che ha criteri molto prudenziali», tanto che mettere la liquidità in comune si sarebbe configurato come «un finanziamento di Parmalat a Lactalis». Soldi con cui i francesi avrebbero rimborsato, temporaneamente, il debito della scalata, pari a 1,25 miliardi, in scadenza l'anno successivo (luglio 2012). Il debito è un problema per Lactalis: già a fine settembre 2011, pochi mesi dopo l'Opa, sempre Mediobanca aveva avvertito in modo esplicito il collegio sindacale di Parmalat che Lactalis sarebbe dovuta “ricorrere a operazioni di finanza straordinaria” per rimborsare i prestiti ottenuti per comprare Parmalat medesima, ossia vendere pezzi di azienda per trovare liquidità. Anche Mario Stella Richter, allora presidente del collegio sindacale, aveva fatto notare che il cash pooling avrebbe di fatto reso Parmalat assoggettata alla direzione e coordinamento di Lactalis (un punto cruciale su cui si parlerà più vanati).

Come finanziarsi, dunque? La Guardia di Finanza sembra non avere dubbi: i francesi avrebbero fatto comprare Lag a Parmalat per entrare in possesso della sua liquidità. Passano 8 mesi e a maggio 2012 ecco che arriva l'annuncio che Parmalat acquista Lag dalla casamadre. A Collecchio però hanno aspettato un anno dall'arrivo di Lactalis per ufficializzare, solo a luglio 2012, che Parmalat è sotto il controllo e direzione dei francesi. Ossia che i francesi non solo sono l'azionista di maggioranza, ma che di fatto gestiscono l'azienda, quindi secondo i loro interessi. Si fa tautologia, a prima vista: Lactalis aveva comprato con l'Opa l'83% di Parmalat, diventandone il padrone assoluto. Ma la tempistica ha delle conseguenze: l'ufficialità giuridica di una Parmalat assoggettata a Lactalis è arrivata due mesi dopo l'operazione Lag. Quindi, quando Parmalat compra la “cugina” americana dal suo stesso azionista lo fa in maniera formalmente autonoma, senza conflitti di interesse. Possono sembrare sofismi di governance, ma sono dettagli decisivi. Perché la Guardia di Finanza avrebbe anche scoperto che Parmalat non poteva fare quasi nulla senza l'ok di Lactalis, tantomeno un'operazione monstre da 900 milioni. Fin dal novembre 2011, i manager di Collecchio dovevano farsi autorizzare da Laval (sede di Lactalis)qualsiasi spesa sopra i 50mila euro, briciole per una multinazionale come Parmalat. Sia per scegliere la società di revisione (per la Due Diligence su Lag, il 2 aprile 2012), sia per decidere quanto pagare i legali D'Urso Gatti Bianchi (il 3 dicembre 2011), dalle email si apprende che a Parmalat non possono decidere in autonomia. A una proposta di un compenso per gli avvocati (tra cui Francesco Gatti all'epoca nel cda di Parmalat), Sala risponde: «Fai 300 (mila euro, Ndr) , anche se devo parlare ancora con Besnier (Emmanuel Bensier il patron di tutta Lactalis, Ndr)».

Lactalis e Mediobanca: Ok,il prezzo (non) è giusto
Ancor più pressante poi sarà il forcing di Lactalis sul suo advisor Mediobanca per il prezzo di Lag. Una data cruciale è l'8 maggio 2012: Sala informa, ancora via email, Besnier in persona, che la fairness opinion (parere di congruità) di Medidobanca, incaricata di valutare il prezzo di Lag, è di 936 milioni di dollari. «Mi spiace ma Mediobanca non è pronta a fare meglio (in termini di multipli, Ndr)»: Lactalis, se ne deduce, vorrebbe un prezzo più alto, così da incassare di più, e Sala si incontrerà pure con Renato Pagliaro, il numero due della banca per cercare di convincerlo a ottenere una valutazione più generosa. Le avances devono essere state molto insistenti perché a un certo punto è costretto a intervenire lo stesso Alberto Nagel: il potente numero uno di Mediobanca, sempre via mail, avverte i francesi che se non abbassano le loro pretese, la banca non rilascerà la sua opinion, necessaria per chiudere l'operazione. Nagel fa notare a Lactalis che “il membro di Amber in consiglio (Umberto Mosetti, tutt'oggi in Cda, Ndr) deve essere convinto (del prezzo, Ndr) prima di ogni annuncio altrimenti creerà un grande problema”. Nella banca che fu di Cuccia erano ben consci che un prezzo esagerato avrebbe scatenato proteste. Tanto più che sempre Mediobanca aveva redatto la sua valutazione di Lag su bilanci pro-forma, nemmeno su quelli ufficiali e definitivi. La cosa richiedeva, da parte degli advisor di Piazzetta Cuccia, ancor più prudenza sul prezzo. Quando poi il Tribunale di Parma imporrà a Parmalat un commissario straordinario (ad acta) sul caso Lag, l'ufficiale arriverà a una valutazione di 623 milioni, quasi 300 in meno rispetto al prezzo pagato da Collecchio (e da qui poi lo sconto di 130 milioni).

Lag: un'operazione che viene da lontano?
Lactalis, che al momento della scalata su Parmalat dichiarò di voler fare dell'azienda italiana il suo polo europeo del latte, cosa che poi non ha mai fatto, sembra invece aver avuto le idee chiare fin da subito: già in una email del 14 ottobre 2011, rivela la Guardia di Finanza, l'allora consigliere Marco Reboa scrive a Sala di «procedere con l'operazione madre prima della prossima estate». Si tratta dell'acquisizione di Lag? Non è dato sapere, ma sarebbe invece chiaro per gli inquirenti che Parmalat non vagliò nessun'altra alternativa a Lag. E che non vagliò neppure nessun'altra diversa modalità rispetto all'acquisizione da pagare in contanti: una fusione per incorporazione di Lag in Parmalat, per esempio, non avrebbe comportato alcun esborso per gli italiani e il “Tesoretto” sarebbe rimasto intatto dentro le casse di Collecchio. Tutto, da 4 anni, ruota attorno a un'irrisolta questione di fondo: Lag fu per Parmalat un'acquisizione voluta o fu un'imposizione della casamadre? Il carteggio di email, secondo l'informativa della Guardia di Finanza, inchioderebbe Lactalis: i francesi premevano per vendere Lag a Parmalat perchè avevano il problema di rimborsare i debiti in scadenza e un impellente bisogno di liquidità. Lo stesso 22 maggio 2012, il giorno in cui il cda di Collecchio approva la maxi-acquisizione, Olivier Savary, uno dei top manager di Lactalis, scrive subito un'email ad alcune banche rassicurando che “il prodotto della vendita di Lag sarà integralmente utilizzato per rimborsare la tranche A (una parte, Ndr) del prestito sindacato”. Quale che sia la verità, il tempismo dei francesi è stato da orologio svizzero.
Parmalat, interpellata a proposito, ha ricordato che “numerosi pareri di eminenti professionisti hanno dimostrato la correttezza dell'operazione e del prezzo di Lag, che ha dato un importante contributo al gruppo italiano”. La società, inoltre, “ha offerto la massima disponibilità agli inquirenti, di cui attende con rispetto l'esito delle indagini”. Amber ha sempre accusato Lactalis di aver fatto un'alchimia finanziaria per mettere le mani sulla cassa di Parmalat, i soldi dei risparmiatori truffati da Calisto Tanzi che l'ex commissario straordinario Enrico Bondi aveva accumulato in 10 anni di battaglie contro le banche. Spetterà ai giudici deciderlo.

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