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Mondadori, fatturato in crescita nei tre mesi

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Mondadori, fatturato in crescita nei tre mesi

MILANO

Il 2016 segna l’uscita dalla crisi per Mondadori? A giudicare dai numeri parebbe di sì. Nei primi tre mesi delll’anno tornano a salire i ricavi, dopo innumerevoli trimestri di recessione ed è una buona notizia in un mercato, quello dell’editoria cartacea, che continua a soffrire e dove non si intravedono ancora segamli di ripresa. L’altra buona notizie è che la cura Ernesto Mauri, il manager arrivato tre anni fa con il compito non facile di risanare la casa editrice della famiglia Berlusconi, sta dando i suoi frutti: il bilancio è quasi in pareggio (le perdite si sono dimezzate a 1,8 milioni e ormai si intravede il punto di svolta) e la redditività è tornata a macinare risultati.

Il giro d’affari è stato di 255 milioni, con un rialzo del 2,2%, che scende a un meno roboante +0,8% a parità di confronto (nel 2015 è stata aumentata la partecipazione in Grune+Jahr editore del mensile Focus), ma che rappresenta comunque un cambio di rotta. Senza più i costi di ristrutturazione e oneri straordinari, il margine ha avuto un balzo del 22% a 8,5 milioni. Prima dell’obolo dovuto al fisco, Mondadori è di fatto tornata in pareggio (appena 500mila euro di perdita). Sono i libri, prodotto quanto old economy e che tutti pensavano destinato a estinguersi, a trainare i conti: vendite in forte rialzo (+13%) a 63 milioni, un margine balzato addirittura del 50% e una quota di mercato del 23%, la più alta in Italia.

Tutto questo, però, è una fotografia già obsoleta, seppur nuova, perché è stata scattata Pre-Rivoluzione Industriale. E la «Rivoluzione Industriale» per la casa editrice hanno i nomi di Rcs Libri e Banzai. Con l’affondo sui libri di Via Solferino (Fabbri, Bompiani, Etas), che proietta Mondadori come primo editore cartaceo in Italia, e la contemporanea diversificazione sui new media (un bouquet di siti comprati per 45 milioni dalla start-up di Paolo Ainio e del banchiere Matteo Arpe) hanno ridisegnato in toto la casa editrice presieduta da Marina Berlusconi.

Sul risanamento hanno contribuito molto anche le dismissioni, un tesoretto da quasi 60 milioni: su tutte la vendita, alla società sorella Mediaset (anch’essa di proprietà della Fininvest dei Berlusconi), della dissestata radio R101, un’avventura frutto della passate gestione ma che non si è rivelata redditizia e che ha permesso di deconsolidare perdite (nei soli primi 3 mesi del 2015 il oassic era toa di 1 mione) e incarmerare una plusvalenza.

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