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Borse e titoli di Stato, lo smarrimento dei grandi investitori

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settimana finanziaria

Borse e titoli di Stato, lo smarrimento dei grandi investitori

S’e percepito un senso di smarrimento al tradizionale convegno dei grandi hedge fund internazionali (Salt). E c'erano buoni motivi perché i gestori fossero sconcertati: l'anno scorso la media degli hedge fund aveva perso l'1,1%, quando Wall Street era scesa dello 0,7% e lo Stoxx aveva invece guadagnato il 7%. Nei primi quattro mesi del 2016, la media è un misero +0,3%, ancor meno del modestissimo rialzo dell'S&P500. I grandi gestori di fondi hedge sono una categoria abituata a far meglio del mercato, gente dalle grandi intuizioni e dalle straordinarie capacità. Fino ai primi mesi del 2014 era andato tutto bene: si compravano azioni (quelle ad alto beta) e si guadagnava; si andava corti o lunghi sui Treasury e di solito ci si indovinava; si vendevano euro e yen per comprare dollari ed era un gioco facile. Talmente facile che bastava muoversi in massa e nella stessa direzione per far soldi. Ma da parecchi mesi gli hedge hanno sbagliato quasi tutto e non hanno capito i mercati: come succede a chi è troppo razionale.

Prendiamo Goldman Sachs, per esempio, che raramente sbagliava tendenza. Sulle azioni le cose non dovrebbero essere andate male, per quanto la banca da mesi abbia sovrastimato l'andamento dell'economia americana. Ma sui Treasury ha sbagliato tutto (finora), immaginando rendimenti in salita e una Fed aggressiva, al punto che l'altro ieri è stata costretta ad adeguare un poco alla cruda realtà le sue previsioni. Eppure, seguendo la ragione, anche noi avremmo sottoscritto le analisi di Goldman. E' un brutto momento, non c'è che dire, sui mercati: non perché le cose vadano male, ma perché non si capisce come potrebbero andare.

La logica o, meglio, le considerazioni macroeconomiche suggerirebbero di restare neutrali sulle azioni (semmai sottopesarle) e di vendere i Treasury Usa: perché l’economia americana non è poi tanto male, l’inflazione dovrebbe salire, per il costo del lavoro e il rialzo del greggio, e perché, prima o poi, la Fed alzerà i tassi d’interesse. Invece la gente continua a comperare titoli di Stato: americani soprattutto, senza disdegnare quelli europei, purché offrano parvenze di rendimento. E quando i bond sono negativi anche a lunga scadenza, si capisce perché siano i giapponesi i maggiori acquirenti di Treasury, specie le compagnie di assicurazione.

Con il pessimismo crescente sulle borse, compresa Wall Street, con i grandi hedge che scommettono su ampi ribassi degli indici, con i grandi investitori che da mesi alleggeriscono azioni, con i rendimenti obbligazionari negativi in Giappone e buona parte d’Europa, va da sè che il denaro finisca in prevalenza sui Treasury ai quali la Fed assicura un corso felice, quanto meno fino a dicembre. Così Goldman Sachs, che prevedeva il decennale Usa al 2,75% quest’anno e al 3,3% il prossimo, s’è trovata costretta, vedendo il titolo sotto l’1,75%, a tagliare di qualche decimale le stime: che restano ancora elevate, nella convinzione che la ripresa economica non sarà deludente (com’è probabile) e che la Fed alzerà i tassi due volte (cosa cui il mercato non crede). Ma il grosso degli investitori, che non ha smesso l’abitudine di muoversi in gregge, punta invece sui titoli di Stato, nella convinzione sincera o pretestuosa, che vi sarà un’altra recessione; è tornato a comprare materie prime e, a flussi alternati, pure l’oro; e seguita a piluccare azioni e bond dei Paesi emergenti.

Qualche altro investitore ha invece rispolverato un vecchio tema: vendere, un po’ anche al ribasso, le azioni dell’area euro a cominciare da quelle italiane, senza trascurare i Btp. L’eventuale disgregazione dell’euro, più probabile se i britannici votassero per l’uscita dalla Ue, sarebbe una carta vincente, come lo fu nel 2011-2012. La via più facile per scommettere in tal senso passa per l’Italia: per il suo più fragile sistema finanziario e adesso per la potenziale instabilità politica, se prevalessero i no al referendum costituzionale. Il rischio Italia, nel semplicismo di certi operatori americani, per cui tutte le nostre banche sono in procinto di fallire e per cui il Paese dovrà venir “inevitabilmente” salvato dalla Bce, potrebbe rappresentare nei prossimi mesi un facile cavallo di battaglia.