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Perché l’Eurozona soffre mentre Usa e Gran Bretagna no

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Lo scenario

Perché l’Eurozona soffre mentre Usa e Gran Bretagna no

Secondo l'agenzia di rating Fitch nel mondo ci sono obbligazioni governative per 9mila 900 miliardi di dollari che anziché pagare un interesse lo chiedono al possessore. Si tratta di un paradosso, figlio della stagione che stiamo affrontando, quella dei tassi negativi. Sempre stando all'agenzia di rating il tasso negativo medio dei “bond governativi glaciali” in circolazione ammonta a -0,24%. Fatte le dovute moltiplicazioni vuol dire che nel mondo c'è una platea di titolari di obbligazioni che, per il solo fatto di possederle, paga complessivamente agli Stati che hanno emesso questi titoli una maxi-cedola da 24 miliardi di dollari.

LA BOLLA DEI TASSI NEGATIVI
I Paesi finiti nella spirale dei rendimenti sottozero. Le durate dei titoli di Stato a tassi negativi

Come evidenzia questa tabella la Svizzera guida la classifica della curva dei rendimenti negativa. Il Paese elvetico viaggia con tassi sottozero addirittura per titoli fino a 15 anni. Segue il Giappone (1o anni). L’Eurozona è ben rappresentata con la maggior parte dei Paesi a tassi negativi, in testa c’è la Germania dove il Bund tedesco ha toccato soglie negative fino alla scadenza di 9 anni. In questa classifica non compaiono Stati Uniti e Gran Bretagna, i Paesi che finora hanno dimostrato meglio di tutti di affrontare la grande crisi finanziaria del 2008 (culminata con il collasso di Lehman Brothers) che poi si è riverberata anche all’interno dell’area euro (area che invece non è ancora riuscita a superarla perché in quel momento sono venuti a galla gli squilibri commerciali formatisi negli anni in cui sembrava che andasse tutto rose e fiori).

L'atmosfera da tassi negativi ha coinvolto anche il settore privato e le grandi multinazionali che spesso hanno rating (giudizi di solvibilità) superiori a quelli sovrani e per cui non stupisce che entrino a regime tra i creditori che beneficiano di questo contesto inedito.

Citigroup ha contato almeno 53 obbligazioni societarie in euro e in franchi svizzeri che vengono trattate sul secondario con tassi negativi. Tra queste ci sono anche le multinazionali americane che recentemente hanno collocato nuovi bond in euro come General Electric, Philip Morris e McDonald's, il cui costo del credito è diventato negativo dal collocamento.

Più si va avanti e più sembra di trovarsi in un mondo alla rovescia, un controsenso della finanza. Dinanzi a questo quadro assolutamente inesplorato e neppure contemplato dai libri di economia, le prime due domande che vengono in mente, probabilmente, sono le seguenti:

1) come mai c’è qualcuno nel mondo disposto a comprare titoli che, anziché pagare un tasso di interesse, chiedono invece al possessore di pagare una tassa?

2) come mai Stati Uniti e Gran Bretagna sono riusciti a “tirarsi fuori” dall’era dei tassi negativi?

Iniziamo dalla prima domanda. Sciogliamo subito un dubbio: i tassi negativi non sono appannaggio dei piccoli risparmiatori. I bond a tassi negativi, infatti, vengono acquistati dagli investitori istituzionali, in particolare dalle banche. Queste, infatti, a fine serata devono parcheggiare la liquidità in eccesso (rispetto alla riserva obbligatoria che per le banche dell’Eurozona è pari all’1% dei depositi) nel conto obbligatorio che devono detenere presso la propria banca centrale.

Normalmente per la liquidità parcheggiata nel conto presso la banca centrale ricevono in cambio un tasso di interesse, corrispondente al “tasso sui depositi” (deposit facility rate). Da un po’ di tempo a questa parte accade però il contrario: sono le banche a pagare la banca centrale (e non viceversa) per parcheggiarvi la liquidità in eccesso. Questo da quando alcune banche centrali (Eurozona, Svizzera, Danimarca, Svezia) hanno portato sottozero il tasso sui depositi. Quindi molte banche preferiscono acquistare bond governativi a tassi negativi piuttosto che pagare la tassa alla rispettiva banca centrale sulla liquidità da parcheggiare a fine serata. A patto che il tasso del bond non sia ancor più negativo del tasso sui depositi. Nell’Eurozona questo è a -0,4%, quindi in teoria alle banche conviene acquistare bond governativi che abbiano un rendimento fino a -0,39%. Ecco perché c’è quindi una domanda sui tassi negativi, anche se a una prima riflessione potrebbe sembrare un controsenso.

Veniamo al secondo punto: come mai Stati Uniti e Gran Bretagna non sono stati contagiati dai tassi negativi? I rendimenti dei titoli statunintesi sono superiori a zero su tutte le scadenze (i titoli a 1 mese pagano lo 0,22% e quelli a 10 anni l’1,71%, i titoli britannici pagano lo 0,35% a 1 mese e l’1,37% a 10 anni). Come mai? Innanzitutto perché a differenza delle banche dei Paesi visti sopra la Federal Reserve e la Bank of England non hanno mai portato i tassi ufficiali sottozero. In secondo luogo perché il tasso di inflazione e le prospettive di inflazione a medio termine (che solitamente vengono incorporate nei rendimenti delle obbligazioni) sono più alte rispetto a quelle di Svizzera, Eurozona, Svezia e Danimarca che invece stanno combattendo, al pari del Giappone, con la trappola della deflazione.

E questo è un punto centrale nel ragionamento. Come mai Stati Uniti e Gran Bretagna sono riusciti a sfilarsi dalla sabbia mobile della deflazione? La risposta è relativamente semplice: sono stati i primi Paesi (già dal 2009) ad adottare manovre monetarie espansive aggressive (il cosiddetto quantitative easing attraverso cui una banca centrale immette nuova moneta acquistando titoli sui mercati aperti). Non solo, hanno accompagnato l’espansione monetaria con una forte espansione fiscale (generando deficit/Pil oltre il 10% per 2-3 anni di fila, più del doppio di quello generato dall’Eurozona e circa il triplo di quello italiano).

L’IMPORTANZA DELLA POLITICA FISCALE
Deficit/Pil a confronto tra Usa, Eurozona e Gb. In %

Accompagnando la politica monetaria alla politica fiscale sono riusciti a rimettere in carreggiata l’economia e oggi possono permettersi di osservare dall’esterno i Paesi che invece sono ingabbiati nella spirale deflattiva. Tra questi, come detto, c’è l’Eurozona e in particolare i Paesi del Sud Europa che non possono contare - in virtù di vincoli di bilancio europei scritti 20 anni fa (quando il mondo era diverso) - sull’azione combinata di politica monetaria e politica fiscale. Tutto qua.

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