L’eccesso di petrolio che negli ultimi due anni ha mandato a picco le quotazioni del barile è scomparso: questo mese la domanda si sta dimostrando superiore all’offerta. A constatarlo è Goldman Sachs e il suo parere, benché non isolato, orienta come al solito i mercati: il Brent, ai massimi da sei mesi, ha superato 49 dollari al barile e adesso punta con decisione verso quota 50 dollari.
La banca americana fino a pochi giorni fa era convintamente schierata sul fronte dei ribassisti. Adesso, pur mantenendosi cauta, ha cambiato idea. A convincerla sono state le numerose e inaspettate interruzioni dell’offerta che si sono verificate nelle ultime settimane: non solo gli incendi in Canada - dove l’emergenza sta già gradualmente rientrando - ma anche e soprattutto il precipare della situazione in Nigeria. La violenza è tornata ad esplodere nel Paese africano, riducendo la sua produzione petrolifera di oltre il 30%, ai minimi da 22 anni. Anche in Iraq, dove fino a poco tempo fa le estrazioni crescevano a ritmi, ci sono intoppi. E la gravissima crisi economica del Venezuela sta cominciando a ripercuotersi sull’industria petrolifera.
I tagli agli investimenti operati dalle compagnie di tutto il mondo, nello stesso tempo, stanno manifestando i primi effetti, non solo sullo shale oil americano, ma anche sulle attività estrattive di altri Paesi esterni all’Opec.
Le difficoltà sono tali e tante che stanno riuscendo a compensare il ritorno dell’Iran sul mercato dopo la revoca delle sanzioni petrolifere. Anche perché nel frattempo la domanda di greggio continua a mantenersi robusta, in particolare in India, che - come ha osservato la settimana scorsa l’Agenzia internazionale per l’energia - “sta superando la Cina come mercato a maggiore crescita per il petrolio”. Pechino stessa sta consumando più petrolio delle attese, proprio mentre la sua produzione, come si è appreso ieri, sta calando rapidamente: in aprile ha estratto 16,6 milioni di tonnellate di greggio, secondo il National Bureau of Statistics, il 5,6% in meno rispetto a un anno prima. La diminuzione è la più forte da novembre 2011.
«Nel primo trimestre - scrive Goldman Sachs - domanda e offerta erano cresciute entrambe più delle attese, lasciando un surplus di 1,4 milioni di barili al giorno. In maggio però crediamo che il mercato sia passato in deficit».
La banca americana ha modificato di conseguenza le sue previsioni sui prezzi: ora si aspetta che Wti raggiunga una media di 45 $/barile nel secondo trimestre, contro i 35 $ che aveva indicato in marzo. Per l’intero 2016 la previsione è stata alzata da 38,40 a 44,60 dollari.
Per arrivare a quota 60 dollari bisognerà aspettare la fine del 2017, secondo Goldman Sachs, che in ogni caso si mantiene molto cauta sulle previsioni. Lo smaltimento delle scorte avverrà in modo estremamente graduale, avvertono gli analisti della banca. Inoltre un surplus di offerta potrebbe ricomparire nel primo trimestre del 2017, perché i produttori a basso costo continueranno ad aumentare la produzione.
© Riproduzione riservata