Finanza & Mercati

Se la caccia ai rendimenti stanca il mercato

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L’Analisi

Se la caccia ai rendimenti stanca il mercato

Anche quando è «prudente», il mercato ha le scommesse nel sangue: rischio, liquidità, tassi, recessioni, crisi geopolitiche possono cambiare destinazione e profilo degli investimenti, ma non la necessità di guadagnare. Per chi lavora con il denaro, una sola regola non cambia: l’equilibrio tra rischio e rendimento. Ma se il rendimento svanisce, a che serve investire? E quando il denaro è gratis, come si giudica il rischio? Il mercato comincia ad averne abbastanza.

E chi usa o investe in titoli di Stato, è anche più stanco degli altri: Asia, Europa o America, non c’è più mercato che segua regole condivise. Mai stato tanto difficile come ora affermare con certezza quali siano le migliori condizioni, dove si trovino, e soprattutto fissare un equilibrio tra rischio e rendimento. Dal 2008 con le manovre straordinarie della Fed e poi dal 2015 con quelle analoghe di Mario Draghi, l’eccesso di liquidità generato dai tassi a zero e dai Quantitative easing ha permesso agli Usa di uscire dalla recessione e alla Bce di salvare l’euro e la tenuta dell’eurozona, ma ha chiaramente scardinato ogni logica di investimento.

Con oltre 3mila miliardi di euro di Sovereign Bond che non danno più rendimenti a chi li compra, è difficile persino stabilire a chi interessino e perché. E attenzione: con la chiusura della forbice dei tassi tra economie sane e indebitate, i vecchi rating non servono più a nulla e si è persino perduto il significato dello spread, l’unico vero giudizio di merito che esprimeva il mercato sulla percezione di affidabilità di un Paese. Con la Bce che compra ogni tipo di bond, del rischio non importa più a nessuno. Bund, Gilt, Bonos e persino i BoT, costano tanto e rendono poco o niente: oltre 3mila miliardi di euro di titoli di Stato hanno ora tassi tra
il «-0% e il +0%», mentre si registra un’esplosione di emissioni a 50 e 100 anni con rendimenti che fino a poco tempo si definivano miserabili: comprarli è diventato inutile per i risparmiatori e un’operazione a saldo zero per gli altri.

Insomma, quando il debito è incentivato più del risparmio, navigare a vista diventa la regola e la caccia ai rendimenti spinge il mercato su sentieri inesplorati. Creando persino situazioni grottesche. Eccone alcuni esempi.

La Diageo, una delle più grandi multinazionali europee nel settore delle bevande alcoliche, è stata la prima a stancarsi dei tassi a zero: per sostenere la patrimonializzazione del suo fondo pensione caduto inesorabilmente in deficit, l’azienda inglese ha smesso infatti di comprare bond sovrani dell’Eurozona sostituendoli con altri «asset». Quali? Nello stupore generale, ha conferito al fondo pensioni oltre 500 milioni di sterline in botti di whisky scozzese invecchiato: dai primi calcoli, il rendimento sarà di circa 25 milioni di sterline l’anno per i prossimi 15 anni, un guadagno ormai irragiungibile con i titoli di Stato. Roba da resuscitare Johnny Walker.

Il successo dell’operazione Diageo, confermato dal balzo del titolo in Borsa, ha stimolato non solo la finanza creativa dell’industria europea ma persino la tolleranza dei regulator nazionali. Ben consapevoli della situazione, ma soprattuto di muoversi su sentieri inesplorati, le Autorità di Vigilanza hanno scelto il silenzio compiacente: dopo l’ok al whisky, come potevano dire no alle forma di emmenthal, ai pregiati cappotti di cachemire o al costoso caviale nero?

Dopo Diageo è stata così la volta del gruppo Dairy, colosso dell’alimentazione anglo-americano che ha conferito al fondo pensioni un’intero magazzino di formaggi olandesi, poi quella del retailer inglese John Lewis (ha sostituito i bond a tassi zero con la partecipazione azionaria che aveva nella catena di supermercati Ocado), poi ancora quella dell’icona londinese Marks & Spencer (ha dato al fondo pensioni oltre 400 milioni di sterline in articoli di lusso venduti nei suoi grandi magazzini) e infine è stato il turno del gruppo Unique, che per chiudere il “buco” pensionistico ha sostituito i Gilt inglesi con un terzo dei profitti, tagliando di conseguenza la remunearzione del capitale investito dai soci. D’altra parte, come dimostrano questi casi, a mali estremi estremi rimedi: se i tassi di interesse restano a zero troppo a lungo o se il formaggio paga le pensioni più di un Bund, l’istinto naturale del mercato spinge prima o poi a non curarsi più dei rischi.

Come negare, inoltre, che i tassi negativi abbiano dimezzato gli utili delle banche, o che i titoli di Stato a rendimento zero stiano schiacciando assicurazioni e fondi pensione? Nelle loro relazioni 2016 sullo stato dei mercati finanziari dell’Eurozona, sia lo Iosco (l’Organo mondiale delle autorità di vigilanza ) sia l’Esma (l’authority finanziaria della Ue) hanno lanciato l’allarme: «Il ricorso prolungato a manovre straordinarie sulla liquidità rischia di diventare il peggior rischio per la stabilità dei mercati finanziari - è scritto nei due rapporti - Ma soprattutto, eventuali rialzi dei tassi di interesse o schock finanziari improvvisi di natura geopolitica, potrebbero porvocare una brusca e pericolosa inversione di tendenza sui tassi dei titoli di Stato: il livello di rischiosità dei mercati è oggi superiore a quello del 2008». Se si pensa che Esma e Iosco hanno basato analisi e conclusioni sugli eventi del 2015, quanto avvenuto nei primi tre mesi di quest’anno era quanto meno prevedibile. Forse, l’unica cosa che le authority non avevano previsto era il contagio delle distorsioni finanziarie dei Sovereign Bond. Il tutto, mentre i mercati secondari che dovrebbero garantire vie d’uscita agli investitori stanno già evidenziando pericolosi segnali di illiquidità. Evidentemente, sono stanchi anche lì.

I problemi, le paure, le distorsioni e persino le speculazioni più spregiudicate a cui si assiste ormai da un anno hanno insomma radici profonde nella politica più che nell’economia o nella finanza: il Qe e i tassi a zero hanno salvato l’euro e dato tempo all’Eurozona, ma ben poco per crescita economica, investimenti, credito a famiglie e imprese, cambi valutari e soprattutto per contenere i nuovi rischi sistemici presenti sui mercati.

A chi gli chiede cosa succederà domani, gli operatori e i trader rispondono come 50 anni fa: «What goes up, must come down», tutto ciò che sale, prima o poi deve scendere. Chi pensa di poter battere il mercato in eterno, è certamente destinato a perdere. E chi si affida oggi soltanto alle manovre di Draghi o della Fed per cercare guadagno o sicurezza farebbe bene a rileggere i libri di storia.

Dalla bolla dei tulipani olandesi a quella radiofonica americana, dal volo dei titoli internet al tonfo dei finanziari, è stato sempre così: l’eccesso di liquidità è utile se rilancia l’economia, non se genera solo distorsioni, rischi sistemici e comportamenti irrazionali. Il messaggio alla Bce che arriva dai mercati ricorda un vecchio adagio: la strada per l’inferno è costellata di buone intenzioni.

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