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La Fed e la strana storia della «stretta» a giugno

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l’analisi

La Fed e la strana storia della «stretta» a giugno

Dove gli operatori dei mercati abbiano letto che la Fed alzerà i tassi a giugno resta un mistero. Siccome è risaputo che la componente umana dei mercati non legge i testi, quanto meno non subito e nemmeno nelle due ore successive, ma delega questa fatica agli algoritmi del trading automatico, si deve pensare che la mistificante interpretazione sia colpa esclusiva delle macchine. Infatti, ieri, i rendimenti dei Treasury sono un poco scesi, più che dimezzando i rialzi di mercoledì, ed pure calato il rendimento implicito nei future sui Fed fund. Se le probabilità di un rialzo a giugno erano date, due giorni fa, al 20% circa (rendimento implicito dello 0,41%), ieri s'erano quasi dimezzate. Restano piuttosto alte quelle di una stretta a settembre (64%) e parrebbe del tutto certo il rialzo a dicembre, poiché il rendimento implicito dei future è salito allo 0,64% (il tasso medio è per ora allo 0,37%).

TASSO IMPLICITO NEI FUTURE SUI FED FUNDS
Scadenza a giugno 2016

Nelle minute del Fomc, pubblicate il 18 maggio, si legge che «qualche membro» ha manifestato preoccupazione per il fatto che il mercato non crede a un rialzo dei tassi a giugno. Di certo in quello sparuto gruppetto di governatori non c'è William Dudley della Fed di New York, nemmeno Stanley Fisher e tantomeno Janet Yellen, ossia quelli che contano. Probabilmente c'è la sola Esther George, che negli ultimi incontri è stata solitaria dissenziente. Nelle minute si legge che nel prossimo incontro (quello di giugno) i consiglieri valuteranno le loro decisioni in base ai dati e agli sviluppi degli eventi, in particolare sul mercato del lavoro e sull'inflazione. Siccome l'ultima rilevazione sui prezzi al consumo (il Cpi, non il Pce prediletto dalla Fed) ha mostrato un rialzo lievemente sopra le attese (1,1%) per l'indice generale, ma un piccolo ribasso (al 2,1%) per la componente core, è lecito aspettarsi a giugno un nulla di fatto. Non a caso, le previsioni dei membri della Fed, allegate alle minute, continuano a lamentare che le aspettative d'inflazione sono semmai al ribasso e lo dimostrerebbero anche le attese degli operatori.

L’INFLAZIONE USA
Andamento dell’indice dei prezzi al consumo nell'ultimo anno

La Fed è un capolavoro di contraddizioni. Mentre si lagna che il mercato stima troppo basse le probabilità di rialzo dei tassi nei prossimi mesi, dà invece credito al mercato sulle aspettative d'inflazione (essenzialmente il valore di breakeven dei Tips, i titoli indicizzati) che si muovono coerentemente alle previsioni d'inflazione espresse dalla Fed. Ma le minute del Fomc offrono un altro esempio di circolo vizioso, laddove si sottolinea l'importanza della comunicazione da parte della banca centrale per evitare sorprese sul mercato in occasione dei vari meeting. E allora torna alla mente il discorso della Yellen del 16 marzo, in cui si evidenziavano i rischi di due mesi prima e in cui si prevedeva che l'inflazione sarebbe cresciuta al 2% «nel giro di 2 o 3 anni». O quello ancor più sconcertante del 29 marzo, che annunciava «estrema cautela» in politica monetaria e dipingeva una situazione dell'economia che si sarebbe detta da recessione. A quel punto, il mercato che scontava una politica più aggressiva, s'è perfettamente adeguato al suadente messaggio del presidente della Fed. Perché essere più realisti del re?

Così procedendo, da tre anni i mercati si sono abituati a non credere alle minacce di stretta monetaria ventilate di tanto in tanto dalla Fed. E hanno fatto bene gli operatori, anche perché hanno capito quanto la banca centrale sia condizionabile dai mercati. È dunque comprensibile che, se Yellen e soci sembrano promettere due rialzi dei tassi entro il 2016, come ribadito a marzo, il mercato se ne aspetti a mala pena uno, come era nei prezzi fino a tre giorni fa, o uno intero, come è implicito nelle quotazioni di ieri. E conoscendo quanto sia restia la banca centrale alle strette monetarie, è lecito pensare che il mercato non si spaventerà nemmeno se l'inflazione (Pce core) toccherà il 2%. E non stupisce se gli operatori non credono possibile un rialzo dei tassi prima delle elezioni presidenziali di novembre. Se lo facesse, la Fed creerebbe qualche problema all'amministrazione democratica (che ha eletto la Yellen) e offrirebbe un insperato supporto a Donald Trump, che questa gente della Federal Reserve vorrebbe mandare a casa.

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