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Il petrolio tra vere e false emergenze

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analisi

Il petrolio tra vere e false emergenze

(Ap)
(Ap)

Anche per il petrolio la stella polare è tornata ad essere la Fed. Il dollaro, di nuovo in ascesa sul riemergere dell’ipotesi di un rialzo dei tassi a giugno, sta comprimendo gli spunti al rialzo, che per il barile da qualche settimana si erano fatti sempre più frequenti. Ma il mercato è ormai in allerta, pronto a prendere per buono ogni indizio di riduzione del surplus di greggio.

Non sempre sono notizie decisive a far correre le quotazioni. Clamoroso, ad esempio, il caso degli scioperi in Kuwait: una protesta davvero provvidenziale, avvenuta proprio in coincidenza col fallimento del vertice di Doha, in cui produttori Opec e non avrebbero dovuto concordare un congelamento dei livelli estrattivi. Proprio mentre le discussioni si schiantavano per volere dell’Arabia Saudita la produzione giornaliera in Kuwait (un fedele alleato di Riad) crollava di 1,7 milioni di barili. Scampato il pericolo di un tonfo del prezzo del petrolio, tre giorni dopo lo sciopero finiva e il Kuwait tornava a pompare greggio come e più di prima.

Altre difficoltà produttive sono ben più serie e durature. Gli incendi nell’Alberta, patria delle oil sands canadesi, bruciano ormai da venti giorni su una superficie estesa quasi quanto la Valle d’Aosta, togliendo dal mercato 1,4 mbg di produzione che potrebbe essere in parte difficile riattivare. Per non parlare dei problemi della Nigeria, dove una recrudescenza di attacchi terroristici e sabotaggi ha fatto crollare le estrazioni da 2,2a 1,4 mbg, il minimo da 27 anni.

Queste ed altre situazioni di emergenza hanno consentito al mercato petrolifero di passare, con una rapidità inattesa, da una situazione di surplus a una di deficit: l’offerta - che era arrivata ad eccedere la domanda di oltre 2 mbg - è adesso insufficiente a soddisfare i consumi globali, come Goldman Sachs si è affrettata a gridare al mondo, dopo aver presagito fino a poco tempo prima una caduta del petrolio a 20 dollari al barile. Pseudo-notizie, che però hanno dato anch’esse una mano a indirizzare l’andamento del mercato.

Distinguere il vero punto di svolta per i fondamentali di mercato non è facile per nessuno. Non lo è nemmeno per gli analisti, né per gli investitori. Persino adesso, con la produzione che improvvisamente corre meno dei consumi , è difficile stimare quanto tempo ci vorrà per ridimensionare le immense scorte accumulate in due anni e passa di surplus.

Solo negli Stati Uniti le giacenze hanno raggiunto livelli che non si vedevano da almeno ottant’anni . I serbatoi di stoccaggio sono stracolmi in tutto il mondo e le immagini da satellite mostrano decine di petroliere in prossimità dei principali scali marittimi, ferme all’ancora in lunghe attese per poter scaricare. Altre sono impegnate in rotte tortuose, più lunghe del necessario, nell’intento di rinviare la consegna, magari vedendo aumentare il valore del carico.

Non tutti i declini di produzione però sono uguali. Emergenze come quelle del Canada, pur rischiando di durare a lungo, sono pur sempre contingenti . Persino in Nigeria la situazione potrebbe normalizzarsi (è già successo in passato). In altri casi è difficile vedere la luce in fondo al tunnel.

La Libia proprio ieri ha riaperto il porto di Marsa al-Hariga, chiuso per 17 giorni a causa di dispute fra Tripoli e Tobruk: la produzione potrà ora raddoppiare, dicono gli analisti. Ma questo significa arrivare a 200mila bg, lontano anni luce dagli 1,6 mbg di prima della guerra civile: un traguardo che a breve appare inverosimile.

Il Venezuela, che per ora si stima abbia perso circa 200mila bg di produzione, è prossimo a un collasso che finirà quasi certamente per travolgere anche la sua industria petrolifera.

E poi c’è tutto il resto. In tutto il mondo le compagnie hanno cancellato investimenti per oltre 300 miliardi di dollari: un ritiro che sta cominciando a incidere sulla produzione e lo farà sempre di più nei prossimi anni.

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