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Scoperte di petrolio ai minimi da 63 anni

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Scoperte di petrolio ai minimi da 63 anni

Le scoperte di nuovi giacimenti di petrolio sono crollate ai minimi da oltre 60 anni. Il dato, evidenziato da diverse ricerche, non sorprende visti i feroci tagli agli investimenti con cui le compagnie hanno reagito al crollo del barile, ma è tutt’altro che trascurabile.

Il mercato, tuttora alle prese con un enorme eccesso di greggio ancora da smaltire, in un futuro non lontano rischia infatti di scontrarsi di nuovo con un problema che oggi sembra dimenticato: tra 5-10 anni l’offerta potrebbe non bastare a soddisfare la domanda, persino nell’ipotesi in cui quest’ultima dovesse diminuire a causa di un trionfo delle rinnovabili.

La frenata più forte si è verificata nell’esplorazione di risorse convenzionali: nel 2015 fuori dagli Stati Uniti sono stati scoperti appena 2,8 miliardi di barili di greggio e liquidi assimilabili, all’incirca l’equivalente di un mese di consumi globali. Era dal 1952 che non si registrava un risultato così scarso. Aggiungendo le riserve trovate negli Usa, in prevalenza shale oil, si arriva a 12,1 miliardi, calcola Rystad Energy, comunque il peggior risultato da 63 anni.

Ihs Energy, arriva a risultati molto simili, evidenzia che la crisi nelle scoperte di greggio fuori dal Nord America non è recente: «Abbiamo visto declinare i volumi per quattro anni consecutivi, una cosa che non era mai successa in precedenza», osserva la società di ricerca. Molte compagnie indipendenti hanno infatti concentrato attenzioni e risorse economiche sullo sviluppo dello shale oil americano, trascurando altre aree geografiche in cui in passato erano molto attive. Con la riduzione generalizzata degli investimenti - che ha coinvolto anche queste società, talvolta in modo ancora più drastico rispetto alle Major - i nodi stanno venendo al pettine.

A soffrire sono state in particolare le esplorazioni offshore, sottolinea Ihs: l’anno scorso i pozzi perforati per cercare risorse in acque profonde (oltre 450 metri) sono stati il 20% in meno, il calo è stato addirittura del 40% in acque ultraprofonde (oltre 1.500 metri).

Sempre più spesso le attività esplorative non portano a identificare nuove riserve di greggio: le scoperte di gas prevalgono ormai da 5 anni, con oltre 9 miliardi di barili equivalenti petrolio ritrovati nel 2015 fuori dal Nord America, più del triplo rispetto a quelle di greggio.

Le compagnie hanno investito in esplorazioni solo 95 miliardi di dollari l’anno scorso, contro 168 miliardi nel 2013, osserva Morgan Stanley, avvertendo che c’è un forte rischio che la spesa nei prossimi anni non si risollevi a sufficienza per garantire un’adeguato sviluppo dell’offerta, nemmeno nello scenario più virtuoso, di contenimento del riscaldamento globale sotto 2°C. L’Agenzia internazionale per l’energia prevede che in tal caso i consumi petroliferi nel 2030 scenderebbero a 86 mbg, ma secondo Morgan Stanley «solo 54 mbg di questa domanda potrebbe essere soddisfatta con i giacimenti attualmente in produzione e quelli di cui è già stato avviato lo sviluppo».

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