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Unicredit: sotto esame aumento e strategia paneuropea

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Unicredit: sotto esame aumento e strategia paneuropea

Rafforzamento del capitale, eventuale ripensamento della strategia paneuropea, ricambio del top management che negli ultimi anni ha perso la necessaria coesione per far funzionare al meglio una delle più grandi banche del Continente.

L’agenda strategica che i grandi soci di UniCredit consegnano al futuro chief executive officer (ceo) del gruppo è molto complessa. Dal punto di vista manageriale, l’indicazione dei maggiori azionisti è, e sarà, chiara: piena discontinuità col passato. Non è un caso che, pur non avendo ancora definito il nome del nuovo ceo, i soci abbiano chiara l’idea della svolta.

Per la prima volta da venti anni, dopo 15 anni di gestione di Alessandro Profumo e cinque anni di uno dei suoi quattro deputy ceo, Federico Ghizzoni, il nuovo capoazienda arriverà dall’esterno del gruppo.

Il segnale forte, che si coglie tra i grandi azionisti, è quello della svolta. Ma affidarsi a un nuovo management team vorrà dire anche definire una nuova strategia? E la presenza paneuropea, avviata a inizio anni 2000 in contemporanea con il grande progetto politico dell’allargamento a Est dell’Unione Europea, sarà depotenziata in concomitanza con gli scricchiolii del progetto comunitario?

Le ipotesi future di aumento di capitale

La strategia, talvolta, è anche figlia della contingenza. Nel caso di UniCredit, unico gruppo italiano a far parte delle banche di interesse sistemico (global sifi), la priorità è di recuperare un livello di capitale adeguato a quello dei maggiori competitor europei. Il livello di Cet1 fully loaded annunciato dal gruppo è del 10,85%, poco sopra le richieste Srep del 10,5% della vigilanza europea della Bce. Entro l’estate si concluderanno gli stress test e a fine anno ci saranno le nuove richieste Srep di Francoforte. Ghizzoni era convinto che la banca non avrebbe avuto problemi a superare gli esami della Vigilanza e che la generazione di capitale interno, dunque senza una ricapitalizzazione più volte smentita, avrebbe riportato UniCredit in linea con i maggiori competitor europei.

Da mesi invece i sector analist delle maggiori banche d’affari internazionali, che certo non disdegnerebbero le laute commissioni di una ricapitalizzazione di UniCredit, stimano un fabbisogno compreso tra i 5 e i 9 miliardi per riportare nell’immediato i ratios patrimoniali del gruppo sui livelli dei maggiori concorrenti continentali. Nè le rassicurazioni del management, nè il nuovo piano industriale di Ghizzoni sono stati sufficienti a convincere il mercato che l’aumento potrà essere evitato. E il titolo UniCredit non ha mai invertito la china discendente che ormai va avanti da anni. Arrivando, pur dopo il recupero degli ultimi giorni, a capitalizzare solo 18,3 miliardi (meno della metà dei circa 37 miliardi della rivale italiana di Intesa Sanpaolo).

Il nuovo ceo dovrà certamente valutare l’ipotesi di un aumento di capitale ma, proprio tenendo conto dell’attuale valore complessivo del gruppo di 18 miliardi, difficilmente potrà procedere con un’operazione vicina al range massimo previsto dal mercato. A meno di non diluire in modo sensibile l’utile per azione, riducendo l’appeal reddituale del gruppo agli occhi degli investitori.

La revisione della taglia paneuropea del gruppo

Per limitare, o meno probabilmente escludere del tutto, la ricapitalizzazione di UniCredit, il nuovo management team dovrà presentare un nuovo piano industriale che punti anche sulla cessione di asset. Un tema che si intreccia con la possibile revisione della strategia paneuropea del gruppo ma anche con le attuali condizioni di mercato (i tassi-zero nell’area euro) e regolamentari (la ridefinizione del quadro di Vigilanza imposto dalla Bce, che rende quasi impossibili le fusioni o le acquisizioni cross-border).

Le attività più facilmente vendibili sono quelle del Centro Est Europa, che però sono anche quelle che danno il maggior contributo reddituale (si veda la tabella a fianco). Lo scenario di tassi-zero nell’area euro rendono invece meno appetibile, ora e in una prospettiva di qualche anno, la presenza in Germania dove UniCredit fatica a mantenere i costi operativi (2,016 miliardi di euro nel 2015) molto sotto i ricavi (2,701 il margine d’intermediazione) con un utile netto di 439 milioni che è di molto inferiore a quello che il gruppo realizza in Polonia (677 milioni).

Rinunciare alle attività tedesche, dove ha sede anche una parte dell’investment banking del gruppo, potrebbe portare UniCredit all’uscita graduale dal novero delle Sifi globali. Ma è evidente che la scelta di contenere la ricapitalizzazione a costo di «tagliare» la dimensione paneuropea, è il vero tema strategico che il nuovo ceo dovrà valutare con i grandi azionisti. A meno che i principali soci della banca decidano l’identikit del successore di Ghizzoni proprio dopo aver definito le strategie della banca per i prossimi anni.

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