
Qualche mese fa nella metropolitana di New York era comparso un inquietante cartellone, senza alcuna scritta o spiegazione, dove si stagliava una Statua della Libertà che si esibiva in un saluto nazista, adornata di stendardi con la croce uncinata di Hitler. Furiose polemiche e indignazione popolare per il sacrilegio contro il simbolo della città e della democrazia americana. Poi si è scoperto che era solo una furba trovata per lanciare una nuova serie tv: The Man in the High Castle (ispirata al romanzo di fantascienza di Philip Dick, La Svastica sul Sole, che immagina un’America dove la Seconda Guerra Mondiale l’hanno vinta i Nazisti). È il telefilm che segna il debutto di Amazon nel mondo della tv, anzi della pay-tv (i canali a pagamento). Il colosso mondiale dell’e-commerce del miliardario Jeff Bezos, sulla scia di Netflix (partito come noleggiatore di dvd e opggi produttore del fenomeno House of Cards) si è lanciato anch’esso a produrre serie tv, nuovo Eldorado del mondo dei media.
In gergo si chiamano Ott, ossia canali tv che sono visibili solo via internet (in streaming, ta tablet o tc di nuova generazione) sono la nuova frontiera dell’industria tv. Gli spettatori impazziscono per le serie tv, e il trend del mercato è di prodursele in casa, sperando. Per la prima volta anche l’Italia è stata in grado di vendere una sua serie all’estero (il clamoroso successo di Gomorra, della scuderia di Sky). Nello stesso tempo il colosso americano Netflix è sbarcato in Italia.
Ancor più recente, l’ennesimo scossone nel mondo della tv: la Santa Alleanza tra il colosso francese Vivendi (conglomerata dei media da ) e il big italiano Mediaset nella pay-tv. Si sono subito scatenati gli scenari da fanta-finanza: nasce un fronte Italia-Francia, tra i due pesi massimi Vincent Bollorè e Silvio Berlusconi, per fare la guerra al multi-miliardario Rupert Murdoch e contrastare l’imminente strapotere dei nuovi ibridi americani.
Guerra delle pay-tv? Più sui giornali che nelle realtà
Se pure Amazon, che di mestiere fa tutt’altro ma ha enormi disponibilità finanziarie, entra nel mondo dell’entertainment, vuol dire una cosa semplice: tutti hammo bisogno di contenuti. E l’ultima mossa di Apple, un po’ corto di ossigeno dopo la scomparsa del genio visionario Steve Jobs, ne è la riprova: la Mela di Cupertino vorrebe comprarsi il colosso tv-media, anch’esso un po’ appannato, Time Warner. Il futuro della tv è a pagamento e i grandi colossi mondiali sono pronti a sbranarsi? Più in teoria che in pratica.
Nè Netflix nè Amazon (se mai sbarcherà in Europa) sono in grado, per ora, di impensierire, almeno in Italia, i grandi “broadcaster” come Sky o Mediaset. Nonostante il fervore del mercato, l’industria, nel Vecchio Continente, non è così brillante e ricca. La verità è che pure la pay-tv soffre. Nel 2006 l’Italia era il Bengodi della pay-tv: in quell’anno il paese guidava l’Europa. Con 430mila nuovi abbonati in soli 12 mesi (+12%) era il mercato più pimpante. Dieci anni dopo, di cui 3 di recessione seguiti ora da una sorta di «stagnazione giapponese», hanno dato una ridimensionata a clienti e giro d’affari, acuita poi dalla concorrenza tra le due piattaforme, Sky e Premium. Un’anomalia tutta italiana perché in nessun paese europero ci sono 2 operatori pay-tv. Ma tutti sono andati verso un monopolio naturale.
Sky, dopo due anni di rosso (50 milioni di perdite), è riuscita a tornare in utile (24 milioni nel 2015), ma i suoi abbonati sono comunque fermi e gli utili sono solo il frutto del taglio dei costi perché i ricavi sono in calo, segnale di un mercato in contrazione. Il concorrente Premium dal canto suo ha fatto meglio, in senso relativo: mezzo miliardo di ricavi e 2 milioni di clienti, in aumento, ma per una start-up è più facile crescere e poi nel 2015 ha avuto la spinta della Champions League). L’Italia è un mercato in teoria con un alto potenziale, ma in pratica è un paese dove non si cresce più, se non a scapito dei concorrenti. La penetrazione della pay tv è sotto al 30%, su un totale di 25 milioni di famiglie, contro il 33% della Francia. O addirittura il 55% dell’Inghilterra dove il doppio delle famiglie guarda programmi a pagamento. Da anni la platea degli abbonati è inchiodata tra i 6 e gli 8 milioni. E poi tocca fare i conti con una capacità di spesa sempre più risicata di quella platea. Con l’arrivo di Vivendi, Mediaset ha finalmente maritato la sua Premium, ma non si è risolta l’aporia di fondo dell’Italia: due concorrenti in un mercato che non ha risorse sufficienti per mantenere due sfidanti.
CanalPlus - Premium: due perdite fanno un utile?
Posto che, al di là delle suggestioni, pochi credono che la mossa Vivendi-Mediaset serva a far davvero a dare battaglia a Newscorp (in primis perchè non converrebbe a nessuno dei due e in secundis costerebbe troppo), a chi giova l’affondo di Vincent Bollorè sull’Italia? La mossa di Vivendi,ancorchè abbia molto senso industriale e una sua visione strategica, è a oggi una grossa scommessa dal punto di vista dei numeri: Canal+, la divisione pay-tv dei francesi, che dovrebbe unire le forze con Premium è in semi-dissesto. In Francia, i 6 canali pay di Vivendi da 4 anni perdono una montagna di soldi e hanno costi superiori ai ricavi (c’è un buco di 240 milioni già a livello di Mol). Un grosso squilibrio finanziario: a Vivendi la pay tv sul mercato domestico è costata finora la bellezza di 1,5 miliardi, senza un euro di utile, e ha dichirato di non voler più sborsare altri quattrini.
I problemi in Francia si stemperano quando si allarga lo sguardo a livello mondiale.Canal+Group, che spazia dal Vietnam all’Africa e controlla Canal+, è un colosso che fattura 5 miliardi e fa utili (risicati,però: appena 40 milioni). Nel frattempo però i francesi si sono comprati Mediaset Premium (il perfezionamento entro l’anno) e si portano in casa altre perdite: la (ex) pay-tv del Biscione ha chiuso il 2015 con un rosso di 80 milioni e altri 50 nel solo primo trimestre. Premium da sola si «mangerebbe» dunque tutti gli utili dell’intera Canal Group. Certo, le sinergie porterano risparmi e la piattaforma unica dovrebbe far salire i ricavi, ma per ora l’unico che ci ha guadagnato è Mediaset: Piersilvio Berlusconi ha tirato fuori dal cilindro un jolly straordinario. Riesce a maritare un asset pregiato ma in profondo rosso (l’acquisto dei diritti tv per la Champions League si è rivelato un passo troppo oneroso) e per il quale da tempo si cerva un partner. Allo stesso tempo mette un piede dentro la conglomerata Vivendi (di cui ha ottenuto il 4%), assicurando cosi anche un posizionamento strategico e un futuro industriale al gruppo al di là della sola pay-tv.
Il futuro della pay-tv? Il modello Hard Discount
Quella in corso non è una guerra, ma più un necessario riposizionamento dell’industria. Non c’è un solo mercato ma più mercati, nella pay-tv: arriva la segmentizzazione. Cosa succederà? Qualcuno ricorda cosa accadde quando a inizio Anni ’90 sbarcarono in Italia gli hard discount. Si fece un gran parlare di rivoluzione e tutti profetizzavano la morte dei supermercati tradizionali. Invece oggi i Lidl convivono accanto alle Esselunfa e agli Eataly. Semplicemente, il mercato si è diviso in nicchie. Lo stesso sta succedendo nella pay-tv: si creeranno più sotto-mercati, ognuno con una fascia di prezzo e servizi diversi. Il futuro è la nicchia.
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