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Se i tassi sono a 0, c’è chi cerca il rendimento con le…

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bussola del risparmiatore

Se i tassi sono a 0, c’è chi cerca il rendimento con le valute. E la sterlina ora va di moda

I rendimenti dei titoli di Stato dell’Eurozona non sono mai stati così bassi. I titoli tedeschi “pagano” tassi negativi addirittura sulla scadenza fino a 9 anni. E il Bund decennale paga un misero 0,14%. In media i bond dell’Eurozona presentano tassi sottozero fino a 7 anni. In Italia i BTp tornano positivi solo se ci si spinge e impegna temporalmente per tre anni, ma anche in quel caso il rendimento è comunque praticamente nullo (0,001%). Per spingersi oltre bisogna alzare la durata. I BTp a 10 anni questa mattina prezzano un rendimento dell’1,37%. Un tasso decisamente elevato rispetto alla concorrenza, che infatti piace molto agli investitori come documenta la domanda che registrano le aste di titoli in Italia.

È anche vero che bisogna distinguere tra rendimenti nominali e rendimenti reali. Ciò che conta, per le tasche del risparmiatore/investitore sono i tassi reali, depurati cioè per l’effetto dell’inflazione. Prima della crisi del 2008, ad esempio, quando i BTp a 10 anni pagano cedole del 4% l’inflazione era tra il 2 e il 3%, quindi il rendimento reale oscillava tra l’1 e l’1,5%. Oggi invece il rendimento nominale è dell’1,37% ma dell’inflazione non c’è neppure l’ombra. Anzi, siamo in deflazione (-0,3% a maggio in Italia e -0,1% nell’Eurozona a maggio). Quindi tecnicamente bisognerebbe sommare la deflazione al tasso nominale (0,4%+1,37%) per ottenere un rendimento reale (+1,73%) che non ha nulla da invidiare al periodo pre-crisi quando la facciata dei tassi nominali prometteva rivalutazioni ben più ampie.

Il ragionamento sui rendimenti reali è importante e andrebbe sempre fatto (non solo sugli investimenti attivi ma anche sul debito) ma non bisogna neppure avere gli occhi bendati. Allargando comunque lo sguardo ci troviamo in un contesto di tassi nominali negativi comunque preoccupante e per certi versi destabilizzante. Comprare oggi titoli e impegnarsi a ricevere per parecchi anni rendimenti nominali molto bassi è comunque molto rischioso, soprattutto nel caso l’inflazione dovesse ritornare intorno al 2%. A quel punto la risalita dell’inflazione porterebbe sottozero anche i rendimenti reali facendo rimpiangere di non aver letteralmente conservato i risparmi sotto il materasso.

Secondo l’agenzia di rating Fitch nel mondo ci sono titoli di Stato con tassi negativi per un controvalore di 10mila miliardi di dollari per un rendimento sottozero medio pari a -0,24%. Il che vuol dire che ci sono investitori che acquistano titoli e in cambio, per il solo fatto di possederli, dovranno pagare agli Stati debitori che hanno emesso questi titoli per raccogliere denaro, una cedola da 24 miliardi di dollari.

I TITOLI DI STATO NEL MONDO CHE HANNO RENDIMENTI NEGATIVI
Le scadenze in anni per singoli Paesi con tassi sottozero

Questi numeri indicano che il quadro su cui operare non è semplice. In questo contesto cresce il numero di operatori che consiglia di puntare non tanto sui tassi (dai quali come visto non c’è da aspettarsi granché) quando sulle valute.

Per un investitore dell’area euro si tratta di valutare i titoli di Stato emessi da Paesi che utilizzano altre valute, valute che potrebbero apprezzarsi nei confronti dell’euro nei prossimi mesi. È chiaro che si tratta di una tipologia di investimento completamente diversa rispetto al ragionamento del cassettista o di un profilo prudente. Investire su valute diverse espone al rischio cambio e quindi cataloga l’operazione tra quelle più rischiose per definizione.

Tuttavia, l’investimento può essere supportato da un ragionamento che potrebbe rendere il rischio un po’ più calcolato, per quanto sempre presente. Ad esempio in questo momento alcuni esperti consigliano di puntare sui titoli di Stato inglesi a breve scadenza. Non solo perché questi - scontando aspettative di inflazione in Gran Bretagna più elevate che nell’Eurozona - offrono rendimenti più alti. Il Gilt a 1 anno paga lo 0,43% rispetto al -0,53% del Bund.

CURVA DEI RENDIMENTI DEI TITOLI DI STATO
Confronto delle curve dei rendimenti dei Titoli di Stato. Dati in percentuale

Ma anche perché la sterlina negli ultimi sei mesi si è svalutata dell’7% nei confronti dell’euro e quindi in teoria potrebbe in futuro recuperare almeno in parte quanto perso. Pur in un contesto che resta decisamente ballerino. Da novembre 2015 a maggio 2016 ha perso il 10%. Nell’ultimo mese, però, con l’avvicinarsi del referendum l’euro ha recuperato il 3,5%.

Da inizio anno il bilancio della sterlina resta comunque in passivo. Come mai? Gli investitori hanno venduto la divisa britannica per via dell’incertezza sul Brexit. Il 23 giugno infatti si vota in Gran Bretagna il referendum per stabilire l’uscita o la permanenza dall’Unione europea. In caso di Brexit la sterlina potrebbe perdere ulteriore terreno (almeno nel breve periodo). Ma vale anche il contrario: se il referendum dovesse scacciare l’ipotesi Brexit, a quel punto la sterlina potrebbe recuperare parte del terreno perduto da inizio anno. In questo caso chi ha comprato Gilt partendo dai propri euro avrà un vantaggio dall’apprezzamento della sterlina e quindi porterebbe a casa un guadagno ben superiore rispetto a quello offerto dai titoli di Stato dell’Eurozona.

«Una valida strategia di diversificazione - spiega Angelo Drusiani, esperto di bond di Banca Albertini Syz - potrebbe essere quella di acquistare titoli inglesi (pagano lo 0,43% a 12 mesi, ndr) puntando su una rivalutazione del 3-4% della sterlina in caso di permanenza nell'Unione europea e di sconfitta del fronte del Brexit nel referendum del 23 giugno. In quel caso consiglio di vendere il titolo prima della scadenza perché lo scatto iniziale della sterlina potrebbe ridimensionarsi nelle settimane a seguire».

Ma, ripetiamo, si tratta di un’operazione di investimento rischiosa, come tutte le forme di investimento sulle valute (come dimostra l’andamento molto volatile del cambio euro/sterlina negli ultimi sei mesi). L’esito del referendum è al momento molto incerto, tanto che alcuni hedge funds avrebbero cominciato a speculare su Brexit dopo aver tratto delle conclusioni da sondaggi riservati (la speranza dei fondi committenti è quella di ripetere le celebri speculazioni valutarie operate dal finanziere George Soros nel 1992, quando la sterlina crollò a seguito dell'abbandono dello Sme).

«Con un numero così alto di votanti che deve ancora decidere quale preferenza esprimere, la volatilità resterà elevata per quanto riguarda i cambi sulla sterlina inglese e potrebbe mantenere sotto pressione la moneta contro le principali valute. L'incertezza di mercato ha anche determinato un rinnovato appetito per i prodotti con copertura sul cambio - spiega James Butterfill, head of research per Etf securities -. Livelli depressi della sterlina inglese aprono, comunque, a nuove opportunità di acquisto nel medio periodo, con la diminuzione dell'incertezza. Bruschi cali della sterlina storicamente sono stati presagio di forti rimbalzi. La diminuzione della volatilità dopo la crisi finanziaria e il referendum in Scozia hanno portato a forti rialzi della sterlina inglese rispetto all'euro. Prevediamo che quello euro/sterlina inglese sia il cambio più favorevole per sviluppare visioni sulla permanenza della Gran Bretagna nell'Ue, considerato che gli Stati Uniti dovrebbero tagliare ulteriormente i tassi nel 2016 e che la Bce probabilmente manterrà l'euro debole attraverso un'aggressiva politica di stimolo».

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