L’attenzione è tutta sulla sterlina, la più esposta nell’immediato alle conseguenze di Brexit. Lo confermano non solo la caduta del valuta britannica registrata la scorsa settimana, quella ancor più rumorosa di ieri, i picchi record – si deve tornare ai giorni della crisi – della volatilità implicita a un mese a 21,9%, ma soprattutto le azioni già annunciate dal governatore Mark Carney per domare le turbolenze prima e dopo referendum in caso di divorzio fra Londra e Bruxelles. Tre aste straordinarie sono state predisposte da tempo per far fronte alla domanda di liquidità con cui le banche rischiano di doversi misurare. La prima sarà il 14 giugno, una seconda il 21 e la terza il 28. Alla luce dell’esperienza maturata in occasione del referendum scozzese, la Bank of England, ha comunicato con gran anticipo al mercato che il sistema bancario avrà tutto il cash necessario. Ha agito anzitempo per evitare di doverlo fare a ridosso degli eventi, una mossa che potrebbe lanciare un segnale negativo agli operatori. È stato ipotizzato che un no all’Europa innescherebbe una caduta della sterlina del 15-20% con Michael Saunders, neo-membro del comitato di politica monetaria, esplicito nel dire quando era ancora a Citi che il mercato «non ha nemmeno lontanamente messo un prezzo» al pound in caso di Brexit. Da allora ad oggi la sterlina s'è ulteriormente ridimensionata, ma il mercato non ha già «scontato» il divorzio anglo-europeo, ipotesi che resta relativamente remota se è vero che è valutata nella City, mediatamente, a quota 30 per cento. Le grandi imprese britanniche si attrezzano per contenere il peggio: quattro quinti circa hanno fatto operazioni di hedging contro il rischio di una svalutazione del pound superiore al 10 per cento.
Se i sondaggi non si stabilizzeranno, il pound rimarrà esposto alla curva degli opinion polls fino al 23 giugno, giorno della consultazione. A due settimane circa dal voto si calano, dunque, gli elmetti e si scende in trincea ? Nella City sta accadendo qualcosa di molto simile. Aste a parte, la Banca d'Inghilterra s'è attrezzata da tempo per evitare una riedizione di quanto si vide nei giorni della crisi anche se in questo caso lo scenario di fondo è del tutto diverso. Sia il comitato di politica monetaria sia il comitato di politica finanziaria saranno pronti per riunioni di emergenza mentre il governatore Mark Carney chiederà assistenza a Fed e Bce qualora avvertisse i sintomi di una corsa a vendere pound tale da mettere sotto pressione gli stock di valuta estera. Poi dopo la primissima fase, quella più acuta, la BoE si troverà costretta a scegliere quale strategia seguire ovvero dovrà decidere se alzare i tassi per sostenere la valuta o ridurli per spingere un'economia che in caso di Brexit si troverebbe in rapida marcia verso la recessione se è vero, come prevede Standard & Poors, che si assisterà alla paralisi degli investimenti in conto capitale delle imprese in Gran Bretagna. Il dubbio che impegnerà il comitato di politica monetaria, illustrato con chiarezza dal governatore nei giorni scorsi, sembra risolversi verso un possibile taglio dei tassi.
Gli scenari in realtà restano imprevedibili perché imprevedibili sono le conseguenze che potrà avere l'uscita di britannica dall'Ue. Quello più drammatico ma tutt'altro che peregrino racconta della dissoluzione del Regno Unito, con la fuga di Edimburgo dall'abbraccio di Londra.
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