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Il giugno «caldo» dei mercati globali

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Scenari

Il giugno «caldo» dei mercati globali

Sarà un “caldo” giugno per i mercati. Non solo a causa delle classiche variabili di Borsa: dalle mosse delle banche centrali (a metà mese si riunisce la Fed) fino ai risultati della prima asta dell’Tltro targata Bce (24 giugno). Bensì anche per l’incognita voto. Il 23 giugno, infatti, la Gran Bretagna deciderà se rimanere nell’Unione europea. Due giorni dopo gli spagnoli andranno alle urne per tentare di eleggere il Governo. Un doppio appuntamento dove il ruolo da protagonista è recitato, ovviamente, dal referendum Oltremanica.

Brexit o non Brexit
In un simile scenario le Borse guardano nei fondi di caffè e monitorano i sondaggi in arrivo da Londra. Quest’ultimi, dopo mesi in cui il fronte pro-Europa era dato in vantaggio, hanno iniziato a segnalare un pareggio. Se non, addirittura, il sorpasso da parte di Brexit. Con il che c’è stata la reazione. L’esempio? Arriva dalla sterlina. Il premio per proteggersi, nei prossimi trenta giorni, contro il calo della valuta inglese sul dollaro è salito al 6,9%. A fine maggio era poco sopra l’1%. «L’indizio – spiega Mirko Porciatti di Mps capital services – dell’aumento del timore per l’addio della City». Certo: i sondaggi lasciano il tempo che trovano. E però non può negarsi che gli investitori stanno prendendo le debite contromisure. La dinamica si replica sull’euro?

Il tira-e-molla della Yellen
Qui la situazione è diversa. «Fino alla data del voto – afferma Alfonso Maglio, portfolio manager di Marzotto Sim – rilevano le politiche monetarie». In particolare, il tira e molla sul rialzo dei tassi da parte della Fed.

Gli investitori, rebus sic stantibus, prevedono il secondo ritocco all’insù in estate. Cioè: la Riserva federale statunitense, nella riunione del 15 giugno, dovrebbe passare la mano. In primis perchè i negativi dati sul mercato del lavoro della scorsa settimana hanno indotto prudenza. E poi perchè la Fed, proprio per l’importanza e la delicatezza del voto inglese, vorrà attendere l’esito del referendum. Solo dopo, salvo sorprese, si muoverà di conseguenza.

Ciò detto, sul fronte della Federal reserve, deve ricordarsi un leit motiv che rimbalza dalle sale operative. Quale? È presto detto. Gli investitori confidano nel fatto di avere una banca centrale accomodante. Cioè: il sentiero di normalizzazione dei tassi proseguirà solo nel momento in cui si avrà una finestra favorevole. La Yellen, che a detta di molti ha eccessivamente delegato a target numerici e all’andamento dei mercati il suo potere decisionale, difficilmente vorrà aumentare il rumore di fondo presente. Una strategia che, da un lato, rispondere alle esigenze del mondo finanziario; ma che dall’altro, proprio per questo, trasforma la mossa sui tassi in un evento non così determinante. Anche sul medio periodo.

Già, il medio periodo. Quale, allora, l’andamento dell’euro dopo il voto sul referendum? Tutto dipende, ovviamente, dal risultato finale. Nell’ipotesi di vittoria di Bremain (permanenza nell’Ue) si griderà allo scampato pericolo. Al contrario, è il refrain degli esperti, ci saranno dei problemi. Seppure, vista l’assoluta novità dell’evento, descrivere gli scenari possibili è molto difficile.

Diverse case d’affari si sono comunque cimentate nell’esercizio. Per Ubs, che ricorda l’importanza dei tempi e dei modi del distacco tra Bruxelles e Londra, nell’immediato gli spread tra la Germania e i Paesi periferici di Eurolandia sono destinati ad allargarsi. Certo, c’è l’ombrello protettivo della Bce. E tuttavia, nella classica reazione di avversione al rischio, la differenza di rendimento tra BTp e Bund decennale dovrebbe immediatamente andare oltre 170 punti base. Con il Bonos spagnolo che fa ancora peggio.

Finanza ed economia reale
Proprio Madrid, peraltro, costituisce l’esempio di come gli esperti possano interpretare la medesima situazione in modo diverso. Credit Suisse, a differenza di Ubs, stima il premio al rischio chiesto alla Spagna nell’ipotesi Brexit minore di quello italiano. I motivi? I più diversi: dalla maggiore competitività economica iberica fino al suo minore debito pubblico (100% del Pil). Senza dimenticare il più basso rischio politico. Nonostante infatti le elezioni per il nuovo Governo di fine mese, la casa d’affari svizzera sottolinea che le forze realmente anti-europeiste sono meno rilevanti che in Italia. La valutazione, però, cambia completamente nel momento in cui si passa a valutare gli aspetti commerciali del problema. La Spagna, secondo l’Ocse, è tra i Paesi europei con la maggiore quota di propri beni (oltre il 6% sui totali esportati) e servizi (oltre il 14%) venduti in Gran Bretagna. Una situazione differente dall’Italia che ha una bilancia commerciale con Londra più limitata. Ebbene: considerando simili fondamentali Madrid, da diversi esperti, viene valutata in maniera più pessimista dell’Italia.

Al di là delle differenti visioni, «ciò che deve sottolinearsi - dice Marco Piersimoni, senior portfolio manager di Pictet AM - è che i fondamentali economici avranno un impatto più sul medio periodo». Nell’immediato, soprattutto per i mercati azionari, l’incidenza maggiore sarà ad appannaggio degli elementi finanziari. «I quali sono strettamente collegati alla resistenza, o meno, dell’impalcatura dell’Euro».

Il rischio sistemico
Cioè: nel momento dell’uscita dall’Ue, gli investitori inizierebbero a pensare che i processi d’integrazione dell’Europa non sono irreversibili. Certo: una cosa è l’abbandono da parte della Gran Bretagna dell’Ue che è prevista dal Trattato (art. 50). Altro è l’exit, formalmente non possibile, dalla moneta unica. Ciò detto i mercati non si fermano davanti a questioni giuridiche. Tanto che, è l’indicazione degli esperti, i listini azionari maggiormente colpiti dalla Brexit sarebbero quelli dei Paesi più esposti alle spinte centrifughe e con maggiore peso dei titoli finanziari. In primis: Madrid e Piazza Affari.

Fin qui alcune considerazioni sul mondo azionario post referendum. Ma quali le prospettive in attesa del voto? Gli operatori sono più o meno concordi: al netto di market mover intraday, le Borse del Vecchio continente dovrebbero stare alla finestra. Un’attesa fino al 23 giugno. Per, poi, guardare alla Spagna. La speranza? Che il risultato delle elezioni di Madrid possa essere “degradato” ad un momento, anche difficile, ma non dirimente per le sorti europee. Analogamente alla decisione (30 giugno) sulla Tobin Tax.

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