Lo spread tra BTp e Bund è un organetto che sembra suonare due sole note: “out” si allarga, “in” si stringe. Con Grexit, Brexit e con l’Italia sull’orlo del baratro, il differenziale tra il rendimento dei titoli italiani e tedeschi decennali si è ampliato. Quando la Bce ha annunciato e avviato il suo QE in linea con quello della Federal Reserve, della Bank of England e della Banca del Giappone, dando prova tangibile di un’unione di Stati europei per contrastare la bassa inflazione, lo spread si è stretto. Quando la popolarità dei partiti populisti anti-euro aumenta, lo spread tende ad estendersi, quando l’Europa e l’Eurozona rispondono alle crisi con interventi forti e tangibili – agli interventi della Bce come il Securities Market Programme e le OMTs va aggiunta la creazione dell’EFSF/ESM, il piano Junker, l’Unione bancaria e il Mercato unico dei capitali – il gap tra BTp e Bund trova validi motivi per stringersi.
Il referendum del popolo britannico sulla permanenza o uscita del Regno Unito dalla Ue è in effetti proprio una questione di “out” oppure “in”, e lo spread quelle note sta suonando in questi giorni: è salito fino a 155 quando prevaleva il Leave, si è ristretto a 135 sulla maggiore probabilità per Remain. Si è mosso poco in verità perché intanto la Bce pigia forte sul tasto “in”, compra i titoli di Stato cosiddetti “periferici” nel suo programma di acquisti PSPP e tiene su i loro prezzi e promette di fare molto di più per difendere il progetto dell’euro in caso di Brexit. Il gap tra Italia e Germania si aprirà di più se emergerà il Leave, fino a 200 punti oppure poco oltre sostengono gli addetti ai lavori. Si restringerà, però non tantissimo, se il referendum lascerà le cose come stanno, cioè confermando sostanzialmente ai mercati che l’Unione è il traguardo lontano di un lungo percorso accidentato. E che per salvare l’euro, nel caso di una Nuova Grande Crisi, un Grande back-stop infallibile sulla carta non esiste: la risposta europea a Brexit non c’è.
Il rischio-Italia e il rischio-Germania si muovono puntualmente in direzioni opposte di fronte agli shock esterni, la periferia va da una parte, il lido sicuro o “safe haven” dalla parte opposta. E questo significa che per cementare l’euro, al di là degli sforzi delle istituzioni europee vecchie e nuove, i singoli Stati ancora hanno un loro peso e quindi devono fare la loro parte. Il rapporto Eurostat sui debiti pubblici nazionali, pubblicato nei giorni scorsi, e un rapporto di S&P’s sull’esposizione al rischio sovrano delle banche europee sottolineano, con numeri e statistiche, che la distanza tra Stati è ancora molto elevata e che la spinta dell’euroconvergenza – se non fosse per il QE della Bce – si è indebolita. Leave o Remain entrano comunque in uno spread in corsa, dinamico: senza Brexit andrebbe secondo gli operatori sotto 100 entro fine anno, grazie al QE. Con Brexit, e altri shock esterni, dovrebbe essere il doppio di quello attuale, attorno a quota 300.
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