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Popolare Vicenza, Atlante studia la cessione

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Popolare Vicenza, Atlante studia la cessione

  • –Sara Monaci

VICENZA

Atlante starebbe mettendo in atto un processo di vendita che riguarda la Popolare di Vicenza. Secondo fonti finanziarie, il fondo gestito da Queastio sgr starebbe prendendo in considerazione la rimozione di crediti inesigibili dal bilancio dell’istituto vicentino, per aumentare la stabilità finanziaria della banca e, d’intesa con la banca d’investimento Rothschild, si starebbe lavorando per sondare la propensione degli investitori ad acquistare l’azienda ripulita. A questo scopo si starebbe inviando materiale riservato ai potenziali offerenti, per chiudere la partita entro poche settimane.

Tuttavia, l’identificazione di un acquirente è operazione ardua, soprattutto all’indomani delle perquisizioni della Guardia di Finanza che ieri hanno coinvolto la sede centrale della Popolare di Vicenza, nell’ambito delle indagini avviate lo scorso settembre dalla Procura di Vicenza. Ma Atlante è sotto pressione per muoversi rapidamente in una vendita: ha bisogno di liberare capitale se vuole mantenere il suo impegno per contribuire a stabilizzare il sistema bancario in Italia. Ieri il nucleo Valutario della Gdf, su mandato della procura di Vicenza, ha sequestrato altra documentazione, dopo quella già acquisita in autunno (tra cui curriculum) per approfondire le stesse ipotesi di reato già prese in considerazione mesi fa: ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio, anche se al vaglio potrebbero esserci nuove considerazioni, come l’appropriazione indebita. Gli indagati rimangono l’ex presidente Giovanni Zonin, gli ex consiglieri di amministrazione Giuseppe Zigliotto (ex presidente di Confindustria Vicenza) e Giovanna Maria Dossena, l’ex direttore generale Samuele Sorato, i due ex vice dg Emanuele Giustini e Andrea Piazzetta.

Le perquisizioni sono state notificate alla banca, non agli indagati. E questo perché il presunto comportamento scorretto degli ex vertici potrebbe derivare, secondo gli inquirenti, da una cattiva o lacunosa organizzazione dell’istituto. Gli eventi sono quelli relativi agli anni 2012-2015, periodo durante il quale, in base alla ricostruzione dell’inchiesta, la banca avrebbe trovato un modo subdolo di finanziarsi: dare in prestito denaro chiedendo in cambio l’utilizzo di una parte eccedente per comprare azioni, simulando quindi l’ingresso di risorse fresche. Le operazioni cosiddette “baciate”. Inoltre sotto la lente ci sono i fondi lussemburghesi Optimum e Athena, sottoscritti dalla banca, che avrebbero avuto il compito di reperire risorse con investimenti proficui ma che invece avrebbero finanziato società in crisi o imprenditori già troppo esposti con la banca.

Lo ha ricordato l’ispettore di Bankitalia Emanuele Gatti, nel verbale dell’8 luglio agli atti della procura: «30 milioni sono stati corrisposti al gruppo Marchini di Roma, mediante la sottoscrizione di un prestito obbligazionario della società Imvest, appartenente al gruppo stesso; il gruppo Marchini ha beneficiato di ulteriori 25 milioni tramite la partecipazione dei fondi all’aumento di capitale riservato della società Methorios (che poi Methorios ha utilizzato per acquistare immobili e partecipazioni dal gruppo Marchini)...Bpvi ha inoltre un’esposizione diretta verso il gruppo per circa 75 milioni, passata tra i crediti a “incaglio” dalla stessa Banca». Ci sono anche altri gruppi esposti, ricorda ancora Gatti: «25 milioni sono stati impiegati a favore del gruppo Degennaro di Bari tramite la sottoscrizione del 100% di un prestito obbligazionario, 55 milioni al gruppo Fusillo di Bari e 48 milioni sono stati impiegati per l’acquisto di azioni della società lussemburghese Dynex, che dagli accertamenti non presenta bilanci da alcuni anni e non sembra operativa». Alfio Marchini aveva già negato la veridicità della ricostruzione. «La Imvest non è del gruppo Marchini, che ne detiene solo una partecipazione, e ha emesso un bond con interessi pari al 5%, pagati per circa 3 milioni, quindi un affare per chi lo ha comprato».

«Siamo i primi a voler fare chiarezza sul passato», si sono affrettati a dire ieri gli attuali vertici della Popolare di Vicenza. «Ribadisco il mio impegno incondizionato a ristabilire quel clima di rinnovata trasparenza e fiducia necessario per proseguire nel rilancio della Banca, a beneficio dei suoi clienti, azionisti e dipendenti», ha fatto sapere l’amministratore delegato Francesco Iorio, confermato alla guida della banca vicentina dopo l’ingresso del fondo Atlante. Eppure, le perquisizioni di ieri sono un’altra tegola sopra la credibilità della banca, o meglio, un’ulteriore tassello che si aggiunge alla frana di quel castello di sabbia che “Zonin & company” – perché certo il patron non era solo – hanno costruito negli ultimi decenni. Da ieri altre quattro persone sono indagate, questa volta all’interno del filone friulano dell’inchiesta. Il pubblico ministero della Procura di Udine Elisa Calligaris ha interrogato quattro direttori di filiale, di Udine e provincia, ipotizzando a loro carico il reato di truffa ai danni di tre clienti che avevano denunciato di essere stati indotti e condizionati all’acquisto di azioni dell’istituto di credito.

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