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Stress test, banche Usa promosse a pieni voti

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Stress test, banche Usa promosse a pieni voti

  • –Marco Valsania

NEW YORK

L’esito a sorpresa del referendum a favore di Brexit ha tolto alle banche americane il vento in poppa della promozione a peni voti ottenuta invece al primo round degli stress test annuali della Federal Reserve, spedendo i titoli in ribasso. Ma aver superato l’esame consente sia alle autorità statunitensi che agli investitori e ai vertici dei protagonisti dell'alta finanza di tirare un sospiro di sollievo proprio davanti allo shock arrivato dalle urne a Londra: i 33 principali istituti americani - da JP Morgan a Bank of America, da Goldman Sachs a Citigroup - sono oggi “armati” per resistere a gravi rovesci economici e sui mercati. Anzi, sono nelle condizioni migliori mai rilevate nel dopo-crisi: la classifica per requisiti ha indicato che disporranno di capitale di alta qualità pari nell’insieme all’8,4% degli asset anche nei momenti più neri immaginabili. Vale a dire di quasi il doppio del 4,5% minimo richiesto dalla Banca centrale di Janet Yellen e più del 7,6% registrato soltanto un anno fa.

«I risultati odierni sono particolarmente significativi dati i criteri sempre piu' severi adottati dalla Fed - ha dichiarato Richard Foster a nome dell’associazione di settore Financial Services Roundtable -. Le banche hanno livelli estremamente elevati di capitale e asset liquidi in rapporto alle loro medie storiche». Gli esiti sono «incredibilmente robusti», ha aggiunto l’analista Steven Chubak di Nomura Securities.

Citigroup e JP Morgan hanno guidato la carica a rassicurare sulla salute del sistema bancario degli Stati Uniti. La prima ha visto il proprio Tier 1 lievitare al 9,2% dal 6,8% dell’anno scorso. JP Morgan ha portato il Tier 1 all’8,3% dal 6,3 per cento. Delle 33 banche il peggior risultato è giunto dalla Huntington Bancshares, con un Tier 1 ridotto eroso al 5% dallo scenario più negativo, che prevede complessive perdite su prestiti da parte dei 33 istituti pari a 385 miliardi in caso d’una crisi economica con disoccupazione al 10%, mercato azionario dimezzato e rendimenti negativi sui titoli del Tesoro americano. Simili perdite non metterebbero in pericolo i leader del settore, stando all’analisi della Fed, grazie al rafforzamento che hanno portato a termine della posizione finanziaria, al miglioramento nella qualità del portafoglio prestiti e al calo nei costi legali relativi alla passata debacle.

Gli esami non sono però finiti per le banche americane. Il test superato, il DFAST o Dodd-Frank Act Stress Test, è solo il primo e il più agevole. Stando al responso positivo, certo, almeno due terzi degli istituti coinvolti dovrebbero passare anche la seconda e cruciale prova, il 29 giugno. Ma non possono essere escluse bocciature o rinvii a esami di riparazione accompagnati da richieste di correzioni e riforme: il Comprehensive Capital Analysis and Review, o CCAR, valuta individualmente gli istituti e la loro abilita' di sopravvivere, comprese le politiche di distribuzione del capitale a cominciare da aumenti dei dividendi.

In questo calcolo, accanto a criteri strettamente numerici e quantitativi, vengono considerati aspetti qualitativi, tra i quali la solidità manageriale. Dalla crisi a oggi, 13 banche e le loro strategie sono state bocciate. E la Fed, nel continuo sforzo di spingere il settore a garantire una piena salute, ha scrutinato con particolare attenzione la percentuale consentita per le cedole, scesa dal 72% nel 2013 al 61% nel 2015. La severità della Fed non dovrebbe certo diminuire al cospetto delle nuove incertezze ora innescate da Brexit: «Il problema non sono solo gli effetti immediati quanto l’esito di lungo periodo - dice Keith Bliss, operatore di Cottone & Co. sul flou del New York Stock Exchange -. Nessuno ha un modello per questo».

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