Finanza & Mercati

Sui derivati la peggiore sofferenza

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L'Analisi|il focus

Sui derivati la peggiore sofferenza

Malgrado gli sforzi dei governi e delle istituzioni europee, i mercati finanziari non sembrano affatto rassicurati dalla risposta dell'Unione al dopo-Brexit. E lo sono soprattutto per quel che riguarda finanza e credito.

Il declassamento di rating dell’Inghilterra, la caduta libera della sterlina, i crolli e la volatilità delle Borse mondiali, la corsa ai titoli di Stato più sicuri e soprattutto la sensazione che lo shock-Brexit possa compromettere non solo la ripresa economica, ma anche la stabilità finanziaria dei sistemi bancari nei Paesi più deboli dell’Europa meridionale, sono infatti alla base dell’ondata di vendite che si è abbattuta in modo generalizzato su tutte le grandi “cattedrali” del credito europeo. La fuga dal rischio sembra essere oggi la fuga dai titoli bancari, ormai trattati talmente a sconto da dare la sensazione di una crisi sistemica incombente. Fermare subito quest’onda emotiva è forse più urgente dell’avvio del negoziato sulle pratiche di divorzio tra Ue e Inghilterra: come già si era capito bene con lo shock provocato dal Bail in sulla fiducia dei risparmiatori, la sicurezza del credito e la stabilità delle banche rappresentano criticità per il futuro dell’Unione Europea non inferiori a quelle generate da Brexit.

In queste ore si sta discutendo in più capitali europee, a Bruxelles e a Francoforte sulla risposta da dare a questa emergenza parallela a quella inglese. La Bce guarda con forte preoccupazione non solo alla stabilità delle banche italiane e di quelle portoghesi per l’eccesso di crediti inesigibili nei loro bilanci e per il rischio di ulteriori ricapitalizzazioni in un momento di forte tensione sul mercato internazionale dei capitali, ma anche alla crescente debolezza dell’intero sistema europeo: non c’è listino azionario in Europa, del resto, in cui i «campioni nazionali» del credito e della finanza non abbiano perso tra il 25% e il 55% del valore di Borsa dal Referendum inglese. Se i Paesi della fascia mediterranea preoccupano, quelli dell’Europa centrale non rassicurano affatto. A cominciare dalla tenuta delle banche inglesi, su cui l’effetto-Brexit avrà gli effetti peggiori: la situazione reale del rischio derivati nei colossi londinesi è talmente alta e opaca da aver spinto l’autorevole centro di ricerca Adam Smith Institute, a denunciare persino l’inaffidabilità degli stress test della Bank of England sugli istituti vigilati. In particolare, se la Boe avesse applicato già nel 2014 i parametri di valutazione del 2015, metà delle banche inglesi sarebbe stata bocciata: il centro di ricerca ha nominato tra le prime Lloyds Banking Group, Royal Bank of Scotland, la Co-op Bank e il Santander UK. Ma quanto a eccesso di leva e di derivati di credito in bilancio, la Germania non è meno a rischio dell’Inghilterra. Lo ha dimostrato Deutsche Bank a inizio febbraio con l'annuncio di perdite e pesanti svalutazioni. Deutsche ha emesso derivati per 75mila miliardi di euro, 20 volte il Pil tedesco, e nel suo bilancio attuale pesano 32 miliardi di euro di derivati ad alto rischio e un'altissima leva finanziaria: fatti due conti, anche un calo del 4% del valore degli attivi potrebbe azzerare il capitale del colosso tedesco. Da anni tiene a bilancio ingenti quantità di titoli derivati a cui è difficile dare un prezzo perché non trattati sui mercati e non equiparabili ad altri prodotti simili che invece lo sono. La banca ha potuto accumulare queste posizioni grazie all’utilizzo di modelli interni: con ampio margine di discrezionalità, ha potuto finora fissare il valore da attribuire a questi titoli. Ma qui sorge un altro problema: con le regole di Basilea 4 previste per il prossimo anno, Deutsche Bank potrebbe essere costretta a rinunciare a questo privilegio, poichè l’orientamento dei regulator è quello di imporre a tutte le banche europee modelli di valutazione di rischio e contabili uguali per tutti, da Cipro a Francoforte. La possibilità di una nuova ondata di ricapitalizzazioni, pesa su ogni istituto senza distinzioni di passaporto.

Malgrado il varo della vigilanza unica europea sotto l’ombrello Bce, insomma, l’Europa bancaria si presenta ancora come una babele di sistemi contabili e rischiosità finanziarie. E soprattutto, si presenta ancora fragile malgrado le manovre straordinarie di Mario Draghi: recessione, eccesso di regole, instabilità politica e austerità forzata in momenti in cui sarebbe servita invece più flessibilità e stimoli fiscali rappresentano una sfida contro cui non basta il “bazooka” di Francoforte. Nel 2008, la Commissione fu ben consapevole dei rischi sistemici legati alle banche e alla fiducia dei risparmiatori, permettendo un'espansione senza precedenti degli aiuti di Stato. Tra il 1° ottobre 2008 e il 1° ottobre 2014, ad esempio, la Commissione ha adottato oltre 450 decisioni di autorizzazione di aiuti a favore delle banche. Soltanto per quel che riguarda le garanzie, l'ammontare degli aiuti autorizzato è stato pari oltre 3.800 miliardi di euro (29,8% del PIL dell'Europa nel 2013). A tali importi si devono aggiungere le misure di ricapitalizzazione, pari a oltre 821 miliardi di euro nello stesso periodo, il 6,3% del PIL del 2013. Oggi le stesse condizioni di rischio sono tornate d’attualità in molti Paesi, come sembra denunciare anche la Borsa: valutare l’opportunità, finanziaria e politica, di permettere interventi pubblici nelle banche ai paesi che lo ritengono necessario non può essere una scelta di carattere esclusivamente tecnico. Una crisi di fiducia sulla sicurezza del risparmio non si controlla con le equazioni e i manuali. Purtroppo, si ha spesso l’impressione che queste scelte siano ormai ostaggio dell’apparato tecno-burocratico che governa Bruxelles e Francoforte: basti pensare che sulle regole e la vigilanza bancaria governa un esercito di 30mila persone tra tecnici, economisti, funzionari e dirigenti, un corpo burocratico in grado anche di condizionare le decisioni prese dalla politica. In America, la risposta alle crisi finanziarie è affidata a due centri decisionali con caratteristiche diverse e non sovrapponibili: Tesoro e Federal Reserve. A Bruxelles non è ancora chiaro chi sia davvero al timone nei momenti importanti.

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