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Senza sostegni alle banche, i tassi a zero sono un boomerang

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L'Analisi|In primo piano

Senza sostegni alle banche, i tassi a zero sono un boomerang

E se la medicina fosse parte del problema? La politica Bce dei tassi a zero, necessaria per ridare benzina all'economia europea, rischia infatti di mettere in tale difficoltà le banche del Vecchio continente che a soffrire potrebbe essere la stessa economia che si vorrebbe guarire.

Questo non significa che la Banca centrale europea dovrebbe alzare i tassi d’interesse, ovvio. Una politica monetaria così espansiva è necessaria in un’economia ancora troppo debole. Significa però che i Governi e le istituzioni europee (tra le quali la stessa Bce) dovrebbero intervenire in maniera più efficace per ridurre gli effetti collaterali dei tassi a zero: dovrebbero cioè permettere concretamente che il sistema bancario europeo si rafforzi, si ristrutturi e si metta in sicurezza anche in un contesto di tassi bassi. Purtroppo negli ultimi mesi sembra essere accaduto troppo spesso l’esatto opposto.

Ma andiamo con ordine. Il problema principale delle banche europee è che i tassi a zero hanno eroso in maniera drammatica i loro ricavi. Il motivo è matematico: dato che le banche guadagnano perché prendono in prestito denaro a un tasso basso ed erogano finanziamenti a tassi più elevati, se la Bce porta il costo del denaro a zero il margine di guadagno si riduce. Sono i numeri (estrapolati dalla banca dati di Capital IQ) a dirlo: nel 2007 l’attività di erogazione del credito garantì alle prime 20 banche europee ricavi per 709 miliardi di euro, mentre nel 2015 la stessa attività alle stesse banche ha fruttato solo 433 miliardi. In pochi anni, insomma, i ricavi su questo fronte si sono quasi dimezzati. Questo è, oggettivamente, un problema per tutti. Anche per le imprese, che dalle banche dipendono.

Dato che la politica ultra-espansiva della Bce è necessaria (anche se non sufficiente) per far ripartire l’economia, è evidente dunque che per ridurre i suoi effetti collaterali sulle banche servano interventi volti a rafforzarle. Ma, come detto prima, troppo spesso siamo andati nella direzione opposta. Il caso più eclatante è la normativa sul «bail in», entrata in vigore proprio quest’anno. Non è un caso che proprio nel 2016 le banche europee, a partire da quelle italiane, siano affondate in Borsa: perché il «bail in» (che impedisce agli Stati di salvare le banche in crisi, lasciando il “cerino” in mano agli azionisti, agli obbligazionisti e in casi estremi ai depositanti oltre i 100mila euro) ha creato una forte incertezza. Soprattutto sugli azionisti e sugli obbligazionisti subordinati, ma in alcuni casi estremi anche sui correntisti.

Se l’Europa varasse uno “scudo” continentale sui conti correnti fino a 100mila euro si potrebbero ridurre almeno le paure (in realtà il più delle volte ingiustificate) dei correntisti. Peccato che il veto tedesco lo impedisca. Morale: la politica, che dovrebbe risolvere i problemi, in questo caso ha l’effetto di creare ulteriore instabilità. E ha lo stesso effetto, deleterio, il dibattito (messo sul tavolo sempre dalla Germania) sugli eccessivi titoli di Stato nei bilanci delle banche italiane e spagnole: è vero che sarebbe meglio ridurli, ma parlarne proprio ora che gli istituti creditizi sono sulla graticola è un boomerang per la stabilità.

Bene inteso: ci sono stati negli ultimi mesi e giorni anche interventi politici che sono andati nella giusta direzione. Il problema è che questi si sono rivelati troppo spesso blandi, oppure poco utili. Prendiamo, per esempio, l’ultimo intervento: quello che permette alle banche italiane di attivare garanzie statali per 150 miliardi per poter creare “collaterale” di buona qualità da dare alla Bce. Se è positivo che l’Europa prontamente intervenga per arginare eventuali crisi di liquidità, è anche vero che oggi non ci sono seri problemi di questo tipo tra le banche (tranne forse pochissimi casi limite). Oggi il problema è invece il capitale: molte banche (non solo in Italia) hanno bisogno di iniezioni di mezzi freschi per rafforzarsi e per poter gestire al meglio i problemi dei crediti deteriorati. Eppure di iniezioni di capitale con aiuto pubblico non si parla, mentre alle banche viene data la possibilità di avere garanzie statali sui “collaterali”. È come se una persona avesse mal di testa e il medico gli desse, per evitare che la situazione peggiori e in mancanza di medicine adeguate, solo un farmaco per il mal di pancia.

E qui arriviamo al punto. Quello che manca, in Europa, è la forza politica di affrontare i problemi veri. Se i tassi a zero sono un male necessario, si potrebbero fare molte cose per ridurre i loro effetti collaterali. Ma, tra veti incrociati, la sensazione è che spesso la risposta politica serva più a mostrare che qualcosa si sta facendo piuttosto che a incidere davvero sulla realtà. Possibile che nessuno si domandi come mai le banche non smettono di crollare in Borsa, nonostante 150 miliardi di garanzie?

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