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Brexit e reazione dei mercati: tanto rumore per poco?

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L'Analisi|l’analisi

Brexit e reazione dei mercati: tanto rumore per poco?

Se c'è un punto che accomuna gli amici e i nemici della Brexit, è di essere ricorsi entrambi alla retorica della paura. I fantasmi dell'immigrazione incontrollata e della tecno-burocrazia europea sono stati il piatto forte della campagna per la Brexit. Ma i fautori del Remain non sono stati da meno: come ha giustamente notato il politologo Marco Tarchi in un bell'articolo sul Fatto Quotidiano, la previsione di una catastrofe economica innescata da un'uscita del Regno Unito è stata il principale argomento della propaganda contro la Brexit.

Non sappiamo, né potremo sapere mai, come sarebbero andate le cose se avesse vinto il Remain, ma in compenso ci è concesso osservare le prime vicende del dopo-Brexit. Che sono piuttosto interessanti. Sul piano della comunicazione la reazione che sta prevalendo fra i commentatori è il ricorso a un consolidato schema di ragionamento: trasformare un problema, il divorzio fra Europa e Regno Unito, in un’opportunità, il rilancio del sogno europeo.

Vanno in questa direzione molti commenti di politici e osservatori, ma anche le riflessioni di alcuni protagonisti dell’economia (si veda, ad esempio, il dialogo fra Roberto Napoletano e Carlo Messina, ceo di Intesa Sanpaolo, pubblicato su questo giornale all’indomani della Brexit).

Meno attenzione sembra attirare il fatto che questa reazione, tutto sommato ottimistica, in tanto è possibile in quanto (almeno fin qui) l’impatto della Brexit sull’economia è stato assai meno violento di quanto la campagna per il Remain lasciasse supporre. Dopo il tonfo del “venerdì nero” dell’immediato dopo-Brexit, le borse hanno recuperato circa metà delle perdite, e quella di Londra le ha anzi assorbite completamente. L’indebolimento della sterlina rispetto al dollaro e all’euro è stato minore di quello sperimentato in altre circostanze (ad esempio durante la recessione 2008-2009) e, sostengono alcuni, probabilmente vi sarebbe stato comunque, vista la necessità di riequilibrare la bilancia commerciale del Regno Unito. Quanto agli spread sui titoli pubblici decennali, quelli britannici vantano la migliore performance del dopo-Brexit: fra gli ultimi due giorni ante-Brexit e gli ultimi due giorni della settimana uscente la Germania ha beneficiato di una riduzione dei tassi di interesse di 22 punti-base, ma il Regno Unito di ben 47, più di qualsiasi altro paese europeo (almeno in base ai dati disponibili fino a ieri).

Tutto bene, dunque?

Non esattamente. Un’occhiata all’evoluzione degli spread con la Germania (vedi grafico accanto) permette di osservare che, fra i paesi dell’Eurozona, la performance migliore è quella della Spagna, presumibilmente aiutata dall’esito delle elezioni politiche (che hanno punito Podemos, la forza più euroscettica del paese), seguita dalla Slovenia ma anche dall’Irlanda (un tempo annoverata fra i PIIGS), e da tutti i paesi del nucleo forte dell’euro (Francia, Belgio, Austria, Finlandia, Olanda). Le performance peggiori, sempre nell’Eurozona, sono invece quelle della Grecia, del Portogallo, della Slovacchia e, purtroppo, anche dell’Italia, tutti paesi che dopo la Brexit allargano il loro divario con la Germania.

A giudicare dai primi giorni, dunque, l’impatto della Brexit sembra alquanto differente da quello annunciato dai catastrofisti. Soprattutto, la reazione dei mercati non sembra seguire il sentiment della politica, sia essa impersonata dalle autorità europee o dalle agenzie di rating americane. Colpisce, ad esempio, che subito dopo la Brexit Moody’s abbia tagliato (da stabile a negativo) l’outlook del debito pubblico della Gran Bretagna, mentre i mercati procedevano nella direzione opposta, concedendo una ampia riduzione dello spread con la Germania.

Soprattutto, colpisce la asimmetria e la selettività delle reazioni dei mercati. Asimmetria perché, a dispetto dei moniti della vigilia, secondo cui era innanzitutto interesse del Regno Unito restare in Europa, per ora la Brexit sembra creare più problemi al di qua che al di là della Manica. Selettività perché, nell’ambito dell'Eurozona, nonostante gli ampi interventi di sostegno ai titoli di Stato dei paesi deboli che verosimilmente la Bce sta attuando in questi giorni, i rendimenti dei titoli di Stato dei paesi dell’euro sono tornati a divergere, come sempre accade nei periodi di allarme dei mercati. Con un’importante novità rispetto al passato: ora Irlanda e Spagna sembrano tornate nel gruppo dei paesi forti, mentre all’Italia resta solo la consolazione di essere il meno debole dei paesi deboli. Nell’ultimo giorno della settimana, a sei giorni dalla Brexit, l’interesse sui nostri titoli di Stato decennali non solo aveva aumentato il divario con la Germania, ma superava quello della Spagna di 15 punti base e quello dell’Irlanda di ben 77.

Insomma, nessuno può sapere quanto grave potrà essere l’impatto finale della Brexit sulle economie del Vecchio Continente, specie ove il sostegno della Bce ai titoli di Stato dei paesi deboli dovesse affievolirsi o venir meno, ma una cosa pare assodata: le differenze di sostenibilità fra i conti pubblici dei vari paesi i mercati continuano e vederle, oggi come prima della Brexit.

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