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Il Banco, gli Npl e il «modello di business»

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Il Banco, gli Npl e il «modello di business»

  • –Claudio Gatti

Chi guarda al sistema bancario italiano da fuori si focalizza soprattutto sui cosiddetti Non-performing loans, i crediti deteriorati, chiodo fisso della Bce e del Fondo monetario internazionale. Chi sta dentro ritiene invece che quella degli stock dei crediti deteriorati sia un’ossessione ingiustificata. E sottolinea come l’implosione di istituti come la Popolare di Vicenza non sia attribuibile agli Npl bensì alla gestione sconsiderata degli investimenti.

Il problema è che gli Npl hanno un impatto anche sul modello di business. Un esempio viene dallo stato del Banco Popolare.

Con un’adesione di oltre il 99 per cento, il Banco ha appena superato con scioltezza il test dell'aumento di capitale da un miliardo chiesto dalla Bce. E visto il fallimento dei simultanei tentativi della Vicenza e di Veneto Banca – salvate solo dall'intervento del Fondo Atlante –non si può certamente sottovalutare questo successo. Ma per l'istituto di Pier Francesco Saviotti non tutto è ancora risolto.

Il Sole 24 Ore ha appurato che Francoforte continua a nutrire preoccupazioni sul modello di business del Banco. Per via dei crediti deteriorati, per lo più ereditati dalla Lodi e da Italease, l'istituto veronese è stato infatti ripetutamente costretto dalla vigilanza europea ad aumentare il livello di copertura senza però riuscire ancora a trovare il reddito che lo finanzi. Non a caso, degli ultimi quattro bilanci, solo quello dell'anno scorso è stato chiuso in utile, grazie a voci straordinarie, quali cessioni di partecipate, non ripetibili. E non è finita. La perdita registrata nella trimestrale del 31 marzo 2016, attribuibile soprattutto a nuovi accantonamenti, porta a far temere una chiusura in rosso anche per il 2016.

«L’aumento di capitale appena conclusosi è stato presentato al mercato come prodromico alla fusione con Bpm. Ma non serviva ad accrescere la dote del Banco, bensì a fargli raggiungere livelli di copertura dei crediti deteriorati idonei alla concessione dell'autorizzazione», spiega una persona che ha gestito la pratica del Banco Popolare a Francoforte.

Quanto problematici fossero quei livelli è attestato dal recente rapporto di PricewaterhouseCoopers (PcW), emblematicamente intitolato “Il mercato degli Npl in Italia: un vulcano pronto a esplodere”. «La principale criticità è l'incidenza sull'equity degli Npl al netto degli accantonamenti, in quanto impatta sia sulla redditività che sulla solidità patrimoniale. Le banche con un'alta incidenza degli Npl sul patrimonio hanno minore possibilità di crescita degli impieghi e quindi minori possibilità di incrementare la redditività, rischiando così di cadere in un circolo vizioso», spiega Fedele Pascuzzi, autore dello studio con Patrizia Lando e Lucia De Vecchi.

Dal confronto dei dati delle dieci maggiori banche nazionali da loro fatto, è emerso che il Banco, come gruppo, ha chiuso il 2015 con il tasso degli Npl al netto degli accantonamenti dell'8,2%, inferiore solo a quello del grande malato d'Italia, il Monte de' Paschi (8,7%), e quasi doppio della media che PcW attribuisce agli altri otto istituti (4,3 per cento).

«Per tutte le banche, la diminuzione dello stock di crediti non performing è una priorità per liberare capitale, anche perché con gli attuali livelli di redditività raccogliere equity sul mercato diventa estremamente difficile», sottolinea Pascuzzi.

La preoccupazione su questi dati sfavorevoli del Banco ha contribuito a spingere Francoforte a inviare a Verona uno dei suoi ispettori più rigorosi, Ferdinando Cutino, che ha avviato un'attenta verifica del portafoglio crediti intesa anche a validare il modello di business dell'istituto.

«Per fronteggiare il rischio dato da un portafoglio crediti di qualità insufficiente, il Banco è ricorso a una politica di classificazione severa, implementata con regole molto rigide. Dall'altra parte ha introdotto criteri di erogazione altrettanto severi che hanno significativamente contribuito a ridurre lo stock dei crediti vivi. Ma se si aumenta la classificazione dei crediti deteriorati senza aumentare l'erogazione, il tasso degli Npl peggiora, perché lievita lo stock dei crediti non-performing rispetto a quelli in bonis», spiega la nostra fonte oltreconfine.

I numeri parlano chiaro: nei sei anni tra il 2010 e il 2015 le esposizioni deteriorate del Banco sono aumentate di 7 miliardi, passando da 13 a 20, mentre lo stock dei crediti in bonis è diminuito di oltre 21 miliardi, da più di 86 a meno di 65. A questo si deve poi aggiungere il problema che, per motivi di debolezza patrimoniale, nel corso degli ultimi anni gli accantonamenti non sono aumentati coerentemente con gli Npl, facendo scendere il tasso di copertura e spingendo la Bce a imporre misure rimediali.

In un'intervista esclusiva con il Sole 24 Ore, l'amministratore delegato Pier Francesco Saviotti reagisce con durezza, definendo l'imposizione dell'ultimo aumento di capitale da un miliardo «un atto di arroganza» della Bce.

L'Ad del Banco dà l'impressione di pensare che Francoforte si stia dimostrando particolarmente inclemente nei confronti della sua banca. «I nostri Npl sono tanti, ma non sono così tragici come si vuol far credere… Ci hanno chiesto livelli di copertura pari a quello delle prime tre banche italiane, quando banche come Ubi hanno coperture molto più basse», dice. E poi aggiunge: «Io spero che professionisti rigorosi come Cutino vadano in tutte le banche. Perché abbiamo visto che cosa è successo dove non sono andati, o hanno fatto visite all'acqua di rose».

Al di là del trattamento finora avuto, Saviotti respinge tutte le critiche al mittente: «I nostri crediti deteriorati sono aumentati perché abbiamo fatto quello che ci è stato chiesto: abbiamo sistemato il passato facendo una classificazione corretta. E man mano che classificavamo, abbiamo anche fatto gli accantonamenti».

Su quest'ultimo punto c'è però da sottolineare che gli accantonamenti sono arrivati soprattutto su spinta della Bce: una prima volta in occasione della cosiddetta Asset quality review e una seconda nel corso della valutazione della fusione con Bpm, quando è stato chiesto il miliardo aggiuntivo.

Saviotti sottolinea inoltre che le coperture della sua banca hanno un alto tasso di garanzia: «Se si guarda al totale delle coperture si vedono numeri che forse ci fanno fare una figura meno bella di altre banche, ma noi abbiamo più garanzie di altri. Al netto dagli accantonamenti abbiamo 5,5 miliardi di sofferenze, con sei miliardi di garanzie».

Anche qui occorre far notare che quei sei miliardi non garantiscono direttamente le sofferenze nette, e sono a valore di libro. Quindi, se si andasse in asta, occorrerebbe scontarli.

Ma torniamo alle parole di Saviotti: «Non abbiamo una grande redditività, perché non ce l'ha il sistema. Il nostro modello di business è lo stesso di Bpm o di Bper. È il modello di banche legate al territorio che soffrono perché soffre il territorio. Ma con quello che abbiamo fatto, e che faremo, mi sento obiettivamente tranquillo. Nel 2013 abbiamo erogato 4,1 miliardi, nel 2014 siamo arrivati a 5,8, nel 2015 a 8,9 e nel 2016 supereremo i 9 miliardi di erogazione».

Quando gli facciamo notare che gli altri istituti hanno fatto di più e che conseguentemente il Banco ha perso quote di mercato, Saviotti risponde con fermezza: «Io erogo con intelligenza. Evitando gli errori del passato».

Comunque sia, la fusione con Bpm potrebbe portare a una svolta, con una politica di gestione dei crediti più aggressiva. Da Milano si sottolinea infatti che l'Ad Giuseppe Castagna, destinato a guidare il gruppo che nascerà, ha dato prova di una politica di crediti decisamente più incline allo sviluppo dei volumi.

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