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Bond in stallo ma reggono allo shock Brexit

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Bond in stallo ma reggono allo shock Brexit

  • –Mara Monti

MILANO

Un mercato in stallo quello del fixed income in particolare in Europa dove le ricadute della Brexit, il referendum britannico dello scorso 23 giugno con cui gli inglesi hanno deciso di uscire dalla Unione Europea, sono ancora incerte. Dopo lo shock post risultato inatteso, con le attività congelate per giorni in attesa di capire le conseguenze politiche ed economiche, a riaprire il mercato è stato il jumbo bond della Oracle da 14 miliardi di dollari sottoscritto completamente in tutte le sue tranche, andando ad allungare la lista dei jumbo bond collocati nel corso dell’anno, soprattutto dimostrando che l’interesse verso titoli sicuri investment grade in questa fase trovano il sostegno del mercato.

Non è stato così per i titoli high yield ad alto rischio che nei primi sei mesi dell’anno, secondo le statistiche di Thomson Financial, hanno subito una forte contrazione del 37 per cento in termini di volumi rispetto al primo semestre del 2015, un rallentamento come non si vedeva dal 2010, concentrato nel primo trimestre dell’anno.

Dominano i jumbo bond

Se non ci fossero stati i jumbo bond anche il mercato americano degli investment grade avrebbe sofferto nel primo semestre. La recente emissione di Oracle è soltanto l’ultima di una lunga serie iniziata con il bond da 46 miliardi di dollari di Anheuser-Busch InBev per l’operazione di M&A lo scorso gennaio proseguito con il collocamento da 20 miliardi di dollari della Dell del mese scorso: da gennaio sono stati 6 i jumbo bond da oltre 10 miliardi di dollari per un volume da 117 miliardi di dollari. In questi giorni a sorprendere gli operatori è stata l’emissione di Oracle collocata lo scorso 29 giugno, pochi giorni dopo la Brexit, con un costo del finanziamento estremamente basso: la tranche a 10 anni del bond è stata collocata sopra il tasso del Treasury a 10 anni dell’1,2 per cento.

Anche in Europa il post Brexit non ha portato grandi tensioni sul mercato del fixed income, con l’eccezione dei primi giorni. Morgan Stanley in un’analisi fa notare come gli spread di credito e i Cds hanno avuto cambiamenti limitati dal giorno del risultato del referendum grazie alla presenza della Bce che ha fatto da supporto. Tuttavia, avverte la banca d’affari i rischi legati al rallentamento dell’economia europea e alla debolezza del sistema bancario europeo rimangono «significativi».

Il rischio tassi negativi

A calmierare la volatilità post Brexit sul mercato del fixed income, oltre all’azione della Bce, sono stati i titoli a tassi negativi sia governativi sia corporate che dopo il risultato del referendum hanno visto i volumi volare fino a 12mila miliardi di dollari. Ancora una volta il mercato si attende un intervento da parte delle banche centrali benché il rischio di un impatto sistemico della Brexit al momento sembra scemato. Gli acquisti, quindi, si sono concentrati verso quegli asset ritenuti sicuri facendo salire i prezzi e diminuire il rendimento al di sotto della soglia dello zero. Tra le banche centrali, la prima ad avere scoperto le carte è stata la Bank of England, la quale dopo il referendum ha annunciato possibili misure nei prossimi mesi. Anche la Bce avrebbe allo studio interventi sul Quantitative easing che porterebbero ad un cambiamento di alcuni parametri favorendo gli acquisti dei bond periferici. Infine sul fronte della Federal Reserve, potrebbero allungarsi i tempi prima di fare scattare un aumento dei tassi che i future indicano non prima di un anno.

Tuttavia, secondo gli analisti di MS i timori non sono del tutto fugati in particolare sul fronte politico perché altri paesi potrebbero essere spinti a seguire l’esempio della Gran Bretagna, con la conseguenza di aumentare l’incertezza e la volatilità.

Liquidità abbondante

Il credito europeo resta ben posizionato sul mercato secondario mentre sul primario è probabile un rallentamento delle nuove emissioni con un mercato diviso tra pre e post Brexit. Secondo uno studio recente di Moody’s, le imprese europee dispongono di oltre un miliardo di euro di liquidità, mettendole al riparo da potenziali incertezze di mercato che potrebbero sorgere in seguito al risultato del referendum britannico. Anche le società italiane sono ben posizionate: tra le prime dieci figura Fca con quasi 22 milioni di euro di liquidità, Eni ed Enel rispettivamente 13 milioni e 10 milioni secondo i dati dell’ultimo bilancio al 31 dicembre 2015.

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