Brexit alla fine ha colpito la Gran Bretagna nel suo vero tallone d’Achille: il mercato immobiliare. Gonfiato da anni di “doping monetario”, foraggiato da famiglie britanniche troppo abituate ad indebitarsi e da investitori internazionali troppo smaniosi di comprare a Londra, alla fine i nodi sembrano arrivare al pettine: i primi fondi immobiliari costretti a bloccare i riscatti sono la punta di un iceberg ben più grande. Sono solo l’apice di un problema che la Banca centrale dovrà gestire, per evitare che Brexit si trasformi nell’ago capace di scoppiare la prima vera «bolla» dell’era post-Lehman Brothers.
La grande speculazione
È da tempo che gli economisti indicano il mercato immobiliare inglese come una bolla creata dalla politica monetaria iper-espansiva che la Bank of England (come molte altre banche centrali) ha varato dopo la crisi del 2008-2009. Tenendo i tassi d’interesse molto bassi per anni e stampando moneta (l’Inghilterra è stato uno dei primi Paesi a varare il quantitative easing), il mercato immobiliare inglese si è infatti gonfiato come un pallone. Questo è stato possibile da un lato perché le famiglie inglesi hanno fatto ampio ricorso al debito, reso conveniente dai tassi bassi, per comprare casa. E dall’altro perché gli investitori internazionali si sono fiondati per anni sul mattone britannico.
Così oggi le famiglie inglesi si trovano sul collo un debito che, secondo i recentissimi dati della stessa Bank of England, è pari a oltre il 130% del loro reddito disponibile. Il che equivale, calcola Rbs, al 145% del Pil: livello in lieve calo rispetto ai picchi del 2008, ma ancora troppo elevato. Soprattutto perché è in crescita: nel 2015 - calcola sempre Rbs - il credito alle famiglie è aumentato del 7,5%, molto più del loro reddito. Questa situazione è sostenibile solo se si verificano due condizioni: i tassi devono restare bassi (altrimenti le rate dei mutui rincarano troppo) e il prezzo delle case deve restare elevato.
Sul primo fronte gli inglesi possono restare tranquilli per un po’, perché Brexit costringe la Bank of England a tenere la politica monetaria accomodante. Se fino a poco tempo fa gli economisti si aspettavano un rialzo del costo del denaro nel 2016, ora arrivano misure espansive. Ma è sul secondo fronte che i rischi sono più elevati: cioè i valori degli immobili. Anni di denaro facile hanno infatti attirato molti (forse troppi) investitori internazionali, che avevano tanti (forse troppi) soldi da investire e pochi posti dove farlo. Calcola la Bank of England che il 45% delle compravendite immobiliari dal 2009 ad oggi in Gran Bretagna sia stato infatti effettuato da investitori internazionali.
Questo per anni ha gonfiato i prezzi delle case e degli immobili commerciali, ma ora che i capitali esteri tentano di fuggire si rischia un tracollo. Ecco perché la stessa Bank of England indica, nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria, questi due problemi come rischi per la Gran Bretagna: il debito delle famiglie e gli eccessivi ingressi di capitali esteri sul settore immobiliare. Messi insieme, oggi, questi due fenomeni preoccupano.
Effetto Brexit
In questo contesto iper-gonfiato, si è inserita Brexit. Che ha causato la forte svalutazione della sterlina sul dollaro e sull’euro. Questo da un lato fa bene alla Gran Bretagna, perché avvantaggia le imprese esportatrici: è per questo che dal giorno del referendum la Borsa di Londra (dove sono quotate molte aziende dedite all’export) è tornata in positivo.
Ma dall’altro la svalutazione della sterlina sta facendo scappare gli investitori dal settore immobiliare: è per questo che alcuni fondi sono costretti a chiudere le porte a chi vuole liquidare le quote. Se gli investitori internazionali scappano, i prezzi scendono. E questo rende ancora meno sostenibile il debito delle famiglie, come in tutte le fasi di ribasso immobiliare.
Così Brexit, presentata dai suoi sostenitori come la soluzione di tutti i mali, rischia di diventare l’ago in grado di far scoppiare la grande bolla. La prima dopo quella dei mutui subprime americani.
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