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Le sofferenze bancarie non sono i sub-prime

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L'Analisi|l’analisi

Le sofferenze bancarie non sono i sub-prime

L’Italia non è l’America e le sofferenze delle banche italiane non sono i sub-prime Usa. Il problema dei crediti deteriorati non è che le banche italiane ne producano più delle altre banche dell’eurozona, bensì che li accumulano, non riuscendo a sbarazzarsene definitivamente prima di sette anni (contro i 3-4 anni di media degli altri Paesi europei) e a oggi, dunque, hanno sulle spalle tutto il peso della crisi innescata dal fallimento della Lehman. Il Governo ha affrontato il problema con strumenti che finora si sono rivelati insufficienti a colmare il gap tra domanda e offerta per dare un prezzo “equo” alle partite incagliate e permettere ai bilanci delle banche di alleggerirsi della zavorra. Mediobanca securities ha calcolato che ogni anno guadagnato sui tempi di smaltimento delle sofferenze vale un punto di Roe in più. Ma i tempi delle riforme (si dovrebbe mettere mano anche all’amministrazione della giustizia) non sono compatibili con le emergenze di mercato.

E tuttavia non si può accettare la quota del 20% che la finanza speculativa è disposta a riconoscere ai crediti in sofferenza come riferimento anche per le banche solventi. Un valore non troppo distante da quel 18% applicato d’ufficio ai quattro istituti locali finiti in dissesto che hanno fatto da cavia al bail-in. Vorrebbe dire dare il segnale che le sofferenze di una banca unanimemente reputata solida come Intesa valgono quanto quelle di Etruria & C. che sono fallite. Svenderne anche solo una parte a questi livelli vorrebbe dire tingere di rosso i conti di tutto il sistema, provocando aumenti di capitale a catena per rincorrere i ratio patrimoniali, senza peraltro risolvere il problema dell’accumulo dei crediti deteriorati. Perchè gli aumenti di capitale, per quanto impegnativi, sono una goccia nel mare a confronto della massa di crediti dubbi che pesa sui bilanci delle banche. Al netto delle svalutazioni già apportate, il valore dei crediti deteriorati - aveva segnalato il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle considerazioni di fine maggio - è dell’ordine di 200 miliardi, quello netto delle sofferenze di 90. Il mercato, come si è visto, brucia gli aumenti di capitale delle banche nel giro di pochi mesi e qualche volta li anticipa addirittura. Come è successo al Banco Popolare, che a fine dicembre capitalizzava 4,6 miliardi e oggi, dopo aver portato a termine con successo un aumento da 1 miliardo, non arriva a un terzo del valore di sei mesi fa.

Le sofferenze delle banche italiane non sono i subprime. Perchè il complesso dei crediti deteriorati - secondo gli ultimi dati di raffronto disponibili - è coperto mediamente per oltre il 130% dagli accantonamenti a riserva e dalle garanzie collaterali. Ci arriva persino il bersagliato Mps, che dopo essersi imbottito 15 miliardi di mezzi freschi negli ultimi otto anni, in questi giorni è sprofondato in Borsa anche sotto gli 800 milioni di capitalizzazione.

I casi sono due. O sono falsi i bilanci delle banche - e allora la questione è penale - oppure il mercato non ha sempre ragione. Soprattutto quando gli unici attori attivi sono gli operatori speculativi che devono giustificare con rendimenti a due cifre l’assunzione del rischio nei riguardi dei loro clienti. Poter aspettare o poter accorciare i tempi aumenta il valore dei crediti dubbi, e non di poco.

È solo un esempio, ma la Banca d’Italia - nell’ultima Relazione annuale - ha calcolato, nel caso specifico di finanziamenti alle imprese garantiti da immobili - che il cosiddetto “patto marciano” contenuto in un recente provvedimento del Governo (Dl 59/2016) potrebbe avere l’effetto di portare il valore di mercato a livelli prossimi a quelli di bilancio. Il patto marciano è un meccanismo stragiudiziale di assegnazione del bene in garanzia al creditore che, col consenso delle parti, può essere applicato alle esposizioni deteriorate delle banche, purchè non sia già stata avviata una procedura concorsuale. In questo caso l’escussione della garanzia può consentire l’estinzione del debito nell’arco di soli sette-otto mesi rispetto alla durata stimata di oltre 3-4 anni per le procedure esecutive. Secondo le simulazioni di Via Nazionale, a certe condizioni «il prezzo che un operatore di mercato sarebbe disposto a pagare per una sofferenza con un valore lordo iniziale pari a 100, e iscritta in bilancio a 60, potrebbe aumentare fino a valori prossimi a quello di bilancio». Si può immaginare che a essere interessate siano le sofferenze relativamente giovani (meno di due anni), che rappresentano circa un terzo delle sofferenze verso imprese garantite da immobili. Se si riuscisse a rinegoziarne almeno la metà, per questa via ne deriverebbe un aiuto di circa 5 punti percentuali a colmare il gap di prezzo tra domanda e offerta per questa categoria di crediti.

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