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Mps, uno schema per salvare il turn-around industriale

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il valore degli asset

Mps, uno schema per salvare il turn-around industriale

Quando, un anno fa, si era ritrovato suo malgrado azionista del Monte in virtù del rimborso in azioni della penultima tranche di interessi sui vecchi Monti bond, il Tesoro aveva annunciato che sarebbe stato un azionista “silente”. All’epoca, neanche così lontana, in pochi avrebbero immaginato che proprio in Via XX Settembre si sarebbero dovute prendere in mano le sorti di una banca in cui il Mef - viste le circostanze - conta molto più del 4% che ha in tasca.

Sta di fatto che al Tesoro oggi il Monte lo conoscono bene. Conoscono i numeri, i manager, le potenzialità dell’istituto. E sanno che - al netto della zavorra dei non performing loans - è una banca rimessa in carreggiata, che ha trovato un modello di business sostenibile e addirittura profittevole, come non si stanca di ripetere lo stesso Padoan ai numerosi tavoli politici e tecnici in cui siede. In pratica, un motivo in più per trovare una strada per il salvataggio: ne va della fiducia dei mercati e dei risparmiatori, ma anche della necessità di non vanificare il turn around compiuto in questi ultimi quattro anni. Gli stessi anni delle inchieste, dei diktat della Bce e degli aumenti, in cui però si è lavorato alla rifocalizzazione del business, alla razionalizzazione della rete e alla riduzione dei costi, insieme a una revisione radicale delle strategie sugli impieghi e sulla raccolta, una strategia che nel primo trimestre di quest’anno ha consentito di migliorare dell’1,3% sull’ultimo trimestre 2015 il margine d’interesse a quota 548 milioni. Ancora più radicale la cura relativa ai costi: nel primo trimestre sono stati pari a circa 645 milioni (-1,3% rispetto ai valori registrati nei primi tre mesi del 2015 e -2,5% rispetto a quelli contabilizzati nell’ultimo trimestre dello scorso anno), ma l’effetto della cura Viola si vede soprattutto nella capacità della banca di alleggerire la struttura dei costi di 800 milioni in quattro anni, tra il 2012 e il 2015, uno degli obiettivi del piano che - all’epoca - si erano ritenuti un’utopia.

Tra i target dell’ultimo piano presentato poco più di un anno fa in occasione dell’aumento da 3 miliardi c’era quello di ridurre di un altro 2,2% le spese operative, per approdare a un cost/income del 49%, cinque punti in meno di quello registrato al 31 dicembre scorso e 16 in meno del 65,1% di fine 2014. In agenda, tra le altre cose, la chiusura di 350 nuove filiali per assestare la rete a quota 1.800, con altri 23 milioni di risparmi all’anno (più 35 milioni one-off).

Non a caso, la banca dall’anno scorso è tornata in utile. Quasi 100 milioni nel primo trimestre 2013, 390 nel 2015. Con un paradosso: a generare i profitti del 2015 l’origine di buona parte dei problemi recenti del Monte, cioè il derivato Alexandria. Che la Consob ha chiesto espressamente che venga contabilizzato “a saldi chiusi”, di fatto inducendo un passaggio a conto econonomico dei 500 milioni di contributi del derivato, precedentemente accantonati come riserve.

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