
Si delinea per il nuovo salvataggio di Monte dei Paschi un piano in tre mosse. E tutte e tre, in varia misura, dipendenti dal via libera di Bruxelles sulle possibilità di intervento pubblico nel capitale della banche. L’avvio, infatti, dovrebbe poggiare sulla possibilità, già ottenuta dall’Italia, di attivare la garanzia pubblica sulle emissioni di bond senior. Un’emissione di questo tipo serve a raccogliere liquidità, ma ha un effetto anche sui parametri patrimoniali perché può essere contabilizzata in parte a debito e in parte a capitale. L’ombrello pubblico potrebbe rendere più semplice un’operazione di questo tipo, che sarebbe complicata da portare avanti con le sole forze del Monte tornato al centro della tempesta. Il senso dell’emissione sarebbe nella possibilità per la banca senese di raccogliere fondi (forse per qualche centinaio di milioni di euro), rafforzare in piccola parte il patrimonio e rendere, in prospettiva, meno oneroso un successivo aumento di capitale. Il bond andrebbe lanciato prima del 29 luglio, ovvero la data per gli stress test europei su Mps, perché bond di questo tipo in genere devono avere l’ok di Bankitalia che li autorizza solo in presenza di un’adeguatezza patrimoniale, che verrebbe a mancare dopo i test.
In questa chiave, si rimarrebbe all’interno di quella «soluzione di mercato» cui vanno le preferenze del governo. Perché questo succeda, però, occorre prima rendere percorribili anche le altre tappe necessarie a riportare in acque più tranquille la più antica banca d’Europa. E qui rientra in gioco la trattativa con l’Unione europea che, come ha confermato anche il premier, è ancora in corso. La necessità di aumento di capitale per il Monte si prospetterebbe, dopo i test, per l’elevato ammontare di Npl rispetto ai crediti complessivi e comportandone la cessione. Il valore contabile degli Npl, però, è molto più elevato rispetto agli attuali parametri di mercato e questo gap comporterebbe, al momento della vendita, una perdita per il Monte attorno a 2 miliardi che andrebbe coperta con capitali freschi. L’aumento sarebbe ovviamente lanciato dalla banca stessa, magari nel contesto di un piano di tagli ed efficientamento, e il Tesoro in quanto azionista con il 4% sottoscriverebbe la sua quota, ma farebbe anche di più. E cioè si impegnerebbe a rilevare tutta la residua parte di capitale inoptato (e qui ci sarebbe l’intervento di capitali pubblici facendo perno sulla flessibilità eventualmente concessa dalla Ue) da parte del mercato.
La praticabilità di questo secondo passaggio è vincolata all’accordo con Bruxelles su due aspetti. Primo, che ci si trovi di fronte alle «condizioni eccezionali» richieste dalla direttiva Ue per attivare l’intervento pubblico. E qui i dubbi sono pochi, anche perché le premesse sono le stesse di quelle indicate per la possibilità di garanzia sulle emissioni già ottenuta a Bruxelles. Secondo, che in virtù di questa eccezionalità si possa sospendere la condivisione dei costi («burden sharing») per tutti i titolari di obbligazioni subordinate, e non solo per gli investitori non istituzionali. Sul punto, però, le distanze fra Roma e Bruxelles sembrano immutate. Se le prime due mosse andranno a buon fine, sarà più facile l’intervento di Atlante 2 per rilevare una cospicua quota degli Npl di Mps (complessivamente 24 miliardi). La raccolta fondi (4-5 miliardi) per il nuovo veicolo sarebbe a buon punto: in campo la Cdp, le Poste, le assicurazioni, i fondi della Sga, le Cassa previdenziali, alcune banche italiane e soggetti esteri, sia bancari che finanziari.
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