Prima il salvataggio pre-bail in di Banca Marche & co. Poi le ambizioni di bad bank, ridimensionate a garanzie pubbliche su (un pezzo di) cartolarizzazioni, le Gacs. Infine Atlante e ora Mps. È la quarta volta in meno di un anno che il settore bancario italiano si trova in balìa di una trattativa tra Governo, Commissione europea e Bce, negoziati tecnici dai risvolti chiaramente politici lunghi e complicati, di cui si fatica a seguire il corso e a intuirne l’esito. È una nefasta incertezza: ogni volta sul tavolo c’è un caso di emergenza, ma a subirne le conseguenze è tutto il settore, perché il mercato sa che se la trattativa fallisce - o dà un risultato poco soddisfacente - a pagarne le conseguenze sono tutte le banche, anche le più sane. E basta molto meno ad accendere la speculazione.
Sul tavolo, questa volta, c’è il Monte dei Paschi di Siena. Ma sarebbe riduttivo pensare che dal risultato di questo ennesimo confronto tra Roma, Bruxelles, Francofortee Atlante dipenda soltanto il destino della più antica banca del mondo. C’è la stabilità di tutto il settore, riguardo al quale il mercato chiede certezze. Ecco perché è auspicabile che dalla trattativa non esca solo una soluzione costruita su misura per il Monte, ma un’intesa di ampia portata e uno schema replicabile all’occorrenza: gli investitori devono sapere (e le banche devono poter contare sul fatto) che gli Npl si possono vendere, in caso di necessità c’è un meccanismo di sicurezza che può essere attivato, gli speculatori vanno privati di nuovi bersagli contro i quali concentrare i loro movimenti, che prescindono completamente dal valore del sottostante.
Il mercato vive di fiducia, e di sfiducia: una soluzione ad bancam rischia di vanificare i suoi effetti non appena si dovesse presentare - e non è improbabile - una nuova situazione di crisi, uno schema può far capire ai cercatori di sventure che in Italia la situazione non è fuori controllo. Esorcizzando nuove situazioni paradossali come quella che viviamo in questi giorni.
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