Un’ottima analisi di Citisulle banche italiane ha finito tuttavia per accrescere il pessimismo degli investitori esteri sul nostro sistema creditizio. Il succo è questo. Il problema delle sofferenze è talmente grande che non può essere risolto senza un pesante intervento del governo. Ma ciò rappresenterebbe una violazione delle norme sugli aiuti di Stato e quelle del bail-in. Siamo dunque in un vicolo cieco e pertanto «è improbabile che si possa risolvere in maniera decisiva il problema delle banche italiane», conclude l’analista di Citi. Complice il trascinarsi della questione a Bruxelles, i titoli del settore hanno patitoanche ieri, mentre quelli deglialtri Paesi europei hanno segnato significativi rialzi.
Facciamo una breve storia. Negli ultimi due decenni, l’Italia s’è trovata ad affrontare una non comune serie di avversità. Al processo di deindustrializzazione iniziato negli anni ’90, s’è aggiunta la recessione creata dalle banche americane, la speculazione degli anni 2011-2012 a causa della rigidità del sistema euro, l’austerità imposta da Bruxelles (e da Berlino) e poi i tassi a zero ed ora la Brexit. È vero che dovremmo pure aggiungere le responsabilità della politica domestica, ma sul Paese si sono scaricate un insieme di colpe che non sono tutte del sistema Italia. Per quanto il commissario Valdis Dombrovskis sostenga che i guai delle banche sono più antichi e non dipendono dalla Brexit (e a rigore ha ragione), sta di fatto che il trambusto provocato dai britannici ha concentrato la speculazione internazionale soprattutto contro il nostro sistema creditizio.
Puoi ben ragionare che il peso delle sofferenze sia gestibile per la maggioranza degli istituti italiani. Puoi argomentare che il valore delle npl sia superiore ai 20 centesimi, come pretendono i fondi “avvoltoio”, che non necessariamente sono il mercato e che puntano a guadagni del 15-20%. Puoi sostenere che le banche europee hanno esposizioni sui derivati (Deutsche Bank e SocGen) potenzialmente più pericolose delle nostre sofferenze. Ma se i mercati si mettono in testa che il rischiod’insolvenza pesa sul sistema Italia, finisce davvero per essere così. Tanto più per società che, come le banche, stanno in piedi più per la fiducia che per la solidità patrimoniale.
Più passa il tempo e più s’ingigantisce il problema conil rischio che le “insolventi” banche italiane contagino quelle degli altri Paesi. E se da Bruxelles tardano le risposte risolutive, il governoitaliano dovrebbe e potrebbe essere costretto a forzare le regole comunitarie in virtù di «circostanze eccezionali», del resto previste dal Trattato (articolo 108). Dovrebbe fare come il governo americano nel 2009 con l’operazione Tarp: creare una grande bad bank in cui mettere le sofferenze e garantire la ricapitalizzazione ove servisse. L’Italia subirebbe un procedimento d’infrazione che non converrebbe nemmeno all’Europa. Ma siccome non siamo in regime di Omt, non per questo verrebbe meno il sostegno della Bce sui nostri titoli pubblici.
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