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Quei 123 miliardi di aiuti alle Landesbank

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Soccorso tedesco

Quei 123 miliardi di aiuti alle Landesbank

Le cinque maggiori Landesbanken tedesche (compresa la WestLb, che nel frattempo è stata smantellata, perché non ha retto alle intemperie) hanno ricevuto nel dopo-Lehman aiuti di Stato per la bellezza di 123 miliardi. Per fare un paragone - non troppo scientifico - è come se questa cifra fosse stata stanziata dall’Italia per aiutare una banca come UniCredit, il cui totale dell’attivo è di ammontare analogo all’insieme delle prime cinque Landesbanken di oggi. Eppure i problemi per il comparto non sono ancora finiti.

Non è bastato il deleverage del settore (la leva finanziaria si è dimezzata a 20 volte rispetto al 2007), il rifocalizzarsi sul core business domestico, con la cessione di partecipazioni non core e la chiusura di uffici all’estero, la cessione di sportelli, il ridimensionamento dell’attività nelle valute, la riduzione dei rischi di rifinanziamento, la minor dipendenza dal mercato wholesale. Non sono bastati 123 miliardi di aiuti pubblici a mettere in assoluta sicurezza il comparto delle Landesbanken, che ora, senza più la stampella di Stato, dovrà dimostrare di essere in grado di restare in piedi da solo.

Le Landesbnaken, pubbliche perchè fanno capo agli Stati (o alle città-Stato) della Repubblica federale di Germania, non hanno infatti ancora risolto tutti i loro problemi. Come dimostra il fatto che la HSH-Nordbank di Amburgo, particolarmente esposta sullo shipping (3 miliardi di accantonamenti ancora nel 2015 solo per le sofferenze in questo settore), ha sforato i tempi regolamentari, finendo ai supplementari con un salvataggio approvato dalla Ue solo nel maggio scorso.

E come dimostra il caso della Bremer Landesbank, anch’essa fortemente esposta verso il settore delle spedizioni navali (400 milioni di euro di svalutazioni a riguardo appena annunciate), che è finita alle corde in questi giorni, alle prese con un dilemma apparentemente irrisolvibile per cercare di evitare il bail-in, che sarebbe il primo caso per la rigorista Germania in cui a fare le spese del dissesto di una banca, oltre agli azionisti, dovrebbero essere gli obbligazionisti e, se non basta, anche i depositanti. L’istituto di Brema fa capo per il 45% alla città-Stato e per il 55% alla Norddeutsche Landesbank. Il soccorso pubblico, con il bail-in ormai entrato in vigore, appunto non è più possibile, ma se la NordLb rilevasse la quota di Brema o incorporasse la Landesbank che già controlla, come si è effettivamente ipotizzato, la Germania rischierebbe comunque la procedura d’infrazione per aiuti di Stato.

Per il Fondo monetario internazionale, nonostante gli indubbi sforzi di ristrutturazione che hanno interessato il comparto, le Landesbanken sono ancora uno dei punti deboli del sistema bancario tedesco. Nello stesso rapporto di fine giugno, nel quale l’Fmi identificava in Deutsche Bank il massimo contributore ai rischi sistemici a livello globale, si concede che le Landesbanken in generale sono più efficienti di un tempo, ma i modelli di business dei singoli istituti «sono ancora in evoluzione e non sono stati ancora pienamente testati e la redditività continua a essere bassa anche quando aggiustata per il rischio». Così - pronostica il report - è probabile che alcune Landesbank richiederanno un ulteriore ridimensionamento, dovranno aprire il capitale ai privati e riformare ulteriormente le strutture di governance.

Le Landesbanken indipendenti attualmente sono sette (nell’ordine per totale dell’attivo): la Landesbank Baden-Württemberg, la Bayerische Landesbank, la Norddeutsche Landesbank, l’Helaba, l’HSH Nordbank, e le piu piccole BremerLb e SaarLb. Dai dati aggregati di R&s-Mediobanca, che riguardano le prime cinque (delle quali solo Helaba non ha ricevuto aiuti) e che sono aggiornati ai bilanci 2015, emerge l’elevata dipendenza dal margine d’interesse, che rappresenta il 79,8% del totale dei ricavi. Un rischio, secondo le considerazioni dell’Fmi, perchè rende il loro modello di business vulnerabile al contesto di bassi tassi, che in Germania è particolarmente accentuato. Oltretutto le banche tedesche non hanno voluto o non hanno potuto applicare tassi negativi sulla raccolta per il timore di una fuga dai depositi.

Altro punto debole è il tasso di copertura dei crediti deteriorati, pari ad appena il 32% nel 2015 contro, per esempio, il 45% delle prime cinque banche italiane (UniCredit, Intesa-SanPaolo, Banco Popolare, Mps e Ubi) che pure fanno parte di un sistema messo in croce dal mercato per il problema delle sofferenze.

Pur sotto tutela pubblica a partire già dal 2008, le prime cinque Landesbanken dell’aggregato di R&S hanno cumulato negli ultimi nove anni 7,7 miliardi di perdite nette (saldo complessivo di tutti i risultati d’esercizio). È pur vero che nel 2015 hanno prodotto un risultato positivo per quasi 2 miliardi (1.986 milioni per la precisione), ma questo non è molto di più rispetto ai 1.328 milioni del 2007, l’ultimo anno di quiete prima della tempesta finanziaria), se si considera che nel frattempo il sistema è stato puntellato da 123 miliardi di soldi pubblici.

E dire che una volta alle Landesbanken bastava la parola per ottenere, senza troppe discussioni, il benestare della Ue al soccorso pubblico. Nel 2009, l'istituto di categoria del Baden Württemberg ha ricevuto l’ok da Bruxelles - come orgogliosamente rilevato in bilancio dagli amministratori - «senza un’indagine approfondita» da parte della Ue, ma solo sulla base del piano di ristrutturazione presentato.

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