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Banca d’Italia: con Brexit crescita del Pil sotto l’1%

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Banca d’Italia: con Brexit crescita del Pil sotto l’1%

In Italia la crescita prosegue ma non si può prescindere dai rischi connessi all’esito “Leave” del referendum inglese. Per questo, Bankitalia avverte che la crescita del nostro paese potrebbe collocarsi poco sotto l’1% quest’anno e attorno all’1% nel 2017, in linea con le valutazioni appena espresse anche dal Fondo monetario internazionale, in occasione della discussione nel board sul rapporto annuale sull’Italia. Via Nazionale rivede dunque il quadro previsivo formulato nello scorso mese di giugno, quando le stime per la crescita erano pari all’1,1 e all’1,2, rispettivamente, per il 2016 e il 2017. Anche se, nel farlo, ammette che l’esito del referendum nel Regno Unito ha effetti ancora difficili da valutare. Infatti, per ora, le ricadute sulle proiezioni dei movimenti nei mercati finanziari, valutari e sulle materie prime verificatisi dopo il 23 giugno, sono state trascurabili.

Se poi s’intende valutare il mero effetto meccanico del distacco della Gran Bretagna attraverso l’impatto sull’interscambio commerciale, occorre ricordare che «nel complesso l’Italia si caratterizza rispetto agli altri paesi dell’euro per una minore intensità dei legami commerciali e finanziari con l’economia britannica». In rapporto al Pil, le esportazioni e le importazioni italiane verso e dal Regno Unito erano pari, rispettivamente, all’1,7 e all’1,1 per cento. Si tratta di quote certamente inferiori in confronto a quelle di Francia Spagna e, soprattutto, Germania. Tuttavia, come aveva spiegato il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nel suo recente intervento all’Abi, una drastica caduta dell’attività produttiva nel Regno Unito produrrebbe un impatto negativo sul Pil italiano pari a un quarto di punto percentuale. L’effetto, però, potrebbe essere marginalmente superiore, spiegano oggi gli esperti di via Nazionale, tenendo conto dell’aumentata incertezza delle imprese rispetto ai mercati di sbocco britannici. In questa ipotesi e alla luce delle più recenti indicazioni di tipo qualitativo, secondo le quali nel secondo trimestre il Pil sarebbe aumentato meno dello 0,3% fatto registrare nel primo scorcio del 2016, Bankitalia ha ritoccato leggermente al ribasso le sue stime.

Gli aspetti positivi che continuano a connotare la ripresa economica italiana, peraltro, non mancano nel quadro tracciato da via Nazionale. Il bollettino cita le risposte fornite dalle imprese italiane nell’ultima indagine Il Sole 24 Ore- Banca d’Italia, condotta poco prima del referendum britannico, secondo la quale circa il 60% delle aziende programma un aumento della capacità produttiva degli impianti. Prosegue, inoltre, il miglioramento dell’occupazione, e se il tasso di disoccupazione generale è rimasto stabile, quello della disoccupazione giovanile è diminuito. Per quel che riguarda le aziende di credito, poi, la banca centrale annota che il credito alle imprese cresce a tassi moderati, ma con un ritmo più sostenuto nei comparti in ripresa, soprattutto fra le imprese manifatturiere. Quanto ai nuovi ingressi in sofferenza, Palazzo Koch sottolinea che «il flusso dei nuovi crediti deteriorati, sul totale dei finanziamenti è ulteriormente diminuito». Inoltre, nei gruppi bancari italiani la quota dei prestiti cattivi si è contatta rispetto al trimestre precedente (sia al lordo che al netto delle svalutazioni).

Sull’intero quadro, tuttavia, aleggia il problema dell’incertezza che si è diffusa dopo il 23 giugno. «La situazione dei mercati può creare rischi sistemici per i singoli stati membri e per l’area nel suo complesso, che prevedono la predisposizione di un sistema di sostegno finanziario pubblico, da attivare in caso di necessità». L’editoriale del bollettino ricorda, come aveva già fatto Visco, in sintonia con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che «le norme comunitarie prevedono, con riferimento ai risultati delle prove di stress, la possibilità di interventi pubblici precauzionali di ricapitalizzazione nel settore bancario, per evitare gravi perturbazioni dell’economia e per preservare la stabilità finanziaria». Se si materializzasse un “worst case scenario”, da crisi sui mercati, difficoltà del sistema bancario con caduta della fiducia delle imprese e delle famiglie, un po’ come avvenne ai tempi della crisi dei debiti sovrani e dei timori di uno euro break up, il rischio, per noi, sarebbe quello di una caduta del Pil pari a un punto percentuale. Ma questo rischio può essere contrastato, conclude via Nazionale, da «una decisa risposta delle politiche monetarie, macroprudenziali e di bilancio e dal successo delle autorità europee nel dissolvere timori sulla coesione dell’Unione».

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