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Borse Ue, il rimbalzo alla prova-Turchia

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listini e instabilità politica

Borse Ue, il rimbalzo alla prova-Turchia

Da una parte le Borse europee che, tra un sobbalzo e l’altro, hanno recuperato dopo la Brexit. Dall’altra una situazione geopolitica, già stressata dall’attentato di Nizza, resa ancora più incerta dal fallito colpo di Stato in Turchia. Due differenti situazioni che, in questi giorni, si contrappongono e influenzano a vicenda. Un mix articolato che mette sul chi va là gli esperti.

«Il tentativo di golpe- dice Gianluca Verzelli, vicedirettore centrale di Banca Akros- è l’ennesimo nervo scoperto in una situazione europea di per sé complessa». «La Turchia, se non altro per il tema dell’immigrazione - aggiunge il trader Luca Barillaro -, rappresenta una variabile importante. Che gli operatori guardano con attenzione. Lunedì mattina bisognerà monitorare la reazione dei mercati».

Il mondo dopo Brexit

Già, la reazione dei mercati. Questi, a ben vedere, rispetto all’impatto del referendum in Gran Bretagna hanno riacquistato grande parte della loro capitalizzazione. In particolare, dal minimo causato dal panic selling per il «bye bye» all’Ue (27 giugno scorso), le Borse Ue hanno guadagnato circa 466 miliardi di market cap. Un incremento cui i vari listini hanno contribuito in maniera differente. Piazza Affari e Madrid, ad esempio, sono riuscite a mettere sul tavolo rispettivamente 43,2 e 60,2 miliardi.

Francoforte, invece, si è «ripresa» 121,2 miliardi e Parigi 148,8. La differenza, ovviamente, non stupisce: le capitalizzazioni dei listini milanese e spagnolo sono in generale inferiori a quelle di Francia e Germania. Sono mercati più piccoli. Di conseguenza, il loro aiuto su questo fronte non può che essere limitato.

Il trend dei listini

La dinamica descritta, tuttavia, non deve confondersi con la performance di Borsa. Qui il Ftse Mib, sempre dal minimo di fine giugno, ha guadagnato il 10,9%. Il corrispondente paniere di Madrid, dal canto suo, è aumentato dell’11,6%.

Si tratta, a ben vedere, di andamenti superiori sia a quello della Borsa tedesca (+8,6%) che del mercato di Parigi (+9,7%). Insomma: Milano e Madrid hanno rialzato maggiormente la testa.

Un rimbalzo più ampio che, però, non ha aiutato ad eliminare il gap con il livello pre-referendum. Piazza Affari, rispetto alla chiusura del 23 giugno (cioè del giorno del voto), è quella che vanta la peggiore performance (-6,78%). A seguire c’è l’Ibex spagnolo (-3,99%). Poi, via via tutte le altre: da Parigi (-2,09%) fino a Francoforte (-1,85%). Il motivo di questo scenario? Semplice: la Borsa nostrana, insieme a quella iberica, erano state colpite maggiormente dall’ondata di vendite. Quindi: hanno sì rimbalzato più in alto, ma partendo da un livello inferiore.

A fronte di un simile scenario il signor Rossi allora domanda: quale le sue cause? «In primis – risponde Verzelli- ha inciso la dinamica dei titoli bancari e il loro maggiore peso su listini quale quello italiano».

Subito dopo il voto, ipotizzando l’effetto domino nell’area dell’Ue, le vendite (anche speculative) hanno colpito ad ampio raggio. Non può negarsi, però, che i crolli hanno riguardato soprattutto quello che, a torto o a ragione, viene visto come uno degli anelli deboli del sistema. Cioè: l’Italia e il suo sistema bancario sui gravano circa 200 miliardi di sofferenze lorde. «Inoltre – aggiunge Massimo Saitta, direttore investimenti di Intermonte Advisory – l’iniziale rigidità con cui le autorità politiche dell’Unione monetaria hanno reagito di fronte ai tonfi delle banche italiane» ha contribuito alla discesa all’ingiù.

In seguito, tuttavia, l’atteggiamento è mutato. È risultato evidente che il problema non è solamente nostro. Bensì, seppure sotto differenti «spoglie» (i derivati in pancia a diversi istituti tedeschi e francesi), si tratta di un tema trasversale all’intero Vecchio continente.

Con il che, da un lato, ci sono state importanti aperture di Bruxelles al fine di risolvere il problema. E, dall’altro, i titoli del credito sono risaliti. Il Ftse italia bank, ad esempio, ha guadagnato (dal 27/6/2016) il 17,5%. Mentre l’omologo settore spagnolo è salito del 13,34%. Tutti trend che hanno sostenuto i listini.

Ma non è solamente questione di banche. «In generale - riprende Verzelli - è venuto meno l’eccesso di timore, sfruttato dai ribassisti, per un risultato inatteso». «E le stesse preoccupazioni legate al referendum costituzionale in Italia -aggiunge Saitta - sono scivolate sullo sfondo». Un cocktail di cause che ha permesso la ripresa dei listini.

L’incognita sulla rimonta

Un rimbalzo, domanda il signor Rossi, che proseguirà? Difficile dire. I mercati europei sono tendenzialmente deboli. I deflussi di capitali dai fondi azionari europei, secondo Epfr, dal 27 giugno ad oggi sono arrivati a 15,2 miliardi di dollari. Una cifra che, evidentemente, è la conseguenza anche di una certa disaffezione degli investitori statunitensi alle azioni «made in Europe». E non solo. Il fallito golpe in Turchia, rispetto ai mercati, potrà anche «ridursi» alla sola maggiore volatilità di breve periodo. E, però, lascia sul terreno molte incognite. Dopo la Brexit tutti hanno indicato la necessità di più Europa per evitare l’effetto domino della disgregazione. È necessario, oltre alla maggiore flessibilità nelle politiche fiscali e a più coesione di fronte alla crisi delle banche, gestire (e risolvere) il problema dell’immigrazione. Ebbene, su questo fronte, la Turchia (piaccia oppure no) costituisce un tassello fondamentale. Il quale, nel momento in cui diventa più instabile, inevitabilmente crea problemi anche all’Europa.

Ciò detto, il territorio è inesplorato. Trarre conclusioni, in un senso o nell’altro, può indurre nell’errore. La riprova? Arriva dalla Borsa di Londra. Gli esperti, prima del referendum, ipotizzava un futuro da «fuoco e fiamme» in caso di Brexit. Invece, dal giorno della pubblicazione dei risultati, il Ftse 100 non solo ha recuperato il temporaneo crollo ma addirittura guadagna il 5,22%. Da un lato, la sterlina debole ha aiutato i titoli delle società export oriented. Dall’altro, la tattica dilatoria di Downig Street ha indotto a pensare che, per ora, non ci sono grandi problemi. Quindi: comprare il Ftse 100? Perché no.

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