Non ci vuole il plotone dei tecnici dell'Eba per capire che quando si hanno crediti deteriorati netti (post accantonamenti già eseguiti), come nel caso di Mps, pari a due volte il patrimonio, si è in una situazione di oggettiva difficoltà.
E non servono stress test accurati per capire che quando si hanno attività illiquide a bilancio pari a metà del patrimonio (leggi Deutsche Bank) forse qualche attenzione in più sui livelli di capitale è giustificata. O quando banche francesi e inglesi hanno livelli di derivati nettizzati in pancia che valgono percentuali significative del loro capitale di base. Il mercato e gli operatori queste cose già le sanno, tanto è che se ne stanno alla larga dalle banche con le gambe più gracili. Eppure puntuali eccoci al nuovo round di esami sotto sforzo. Più porti in alto l’asticella da superare, più le criticità emergono al di là di ogni buon senso. Anche quest’anno lo scenario avverso disegnato dall’Eba ha toni infausti. Con il Pil Ue in profonda recessione sia nel 2016 che nel 2017. Un crollo di oltre il 20% dei prezzi delle case; una caduta dei mercati finanziari del 25% e un incremento della disoccupazione del 2,8%. Anche in passato gli scenari estremi prevedevano sfracelli che non sono in realtà avvenuti. L’Europa cresce poco ma è uscita dalla stagnazione. Si dirà che per essere attendibili gli choc che potrebbero impattare sul sistema bancario devono essere ingenti pena la loro inefficacia. E del resto questi sono esami sotto sforzo. Tutto bene?
Dal punto di vista delle autorità la stabilità del sistema bancario è un bene troppo prezioso per lasciare zone d’ombra di qualsiasi tipo. Cosa c’è di meglio di un forte stress, di una situazione limite per tastare la tenuta delle banche. Esercizio legittimo e obiettivo, quello della salvaguardia a tutti i costi della stabilità, condivisibile in via di principio. Ma le Autorità guardano a un mondo ideale, una sorta di provetta in vitro che nella realtà non trova spazio. Lo stress quello vero per le banche è già in atto. Con il bail in che rende vulnerabili e compartecipi alle perdite azionisti e grandi obbligazionisti delle banche che dovessero fallire. E che finisce per rendere gli investitori attuali e potenziali assai guardinghi sul settore bancario. Ma lo choc esogeno che pesa di più è il perdurante clima di tassi a zero se non negativi che sta minando in profondità le possibilità di guadagno per le banche dall’attività di intermediazione di denaro. Con i margini così compressi i ricavi languono e potrebbero ripartire solo se i volumi di nuovo credito si mettessero a crescere. Cosa che non avviene. Al contrario. In questi anni di crisi a fronte della richiesta delle Autorità a tenere sempre più alte le dotazioni patrimoniali, (in nome della stabilità) il mondo del credito ha reagito facendo aumenti di capitale solo quando era assolutamente necessario e contemporaneamente tagliando i prestiti, l’altra opzione per tenere alto il più possibile il Cet1. Il contesto di tassi a zero e di stretta rigoristica sul capitale è il cocktail velenoso in cui si trovano non da ieri a operare le banche. Di stress ce n’è in abbondanza già così senza supporre nuove disastrose recessioni all’orizzonte. Così si spaventa solo il mercato, si deprezzano gli asset in Borsa, si rende più difficile reperire capitale come dimostra la storia recente.
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