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Ipo da 5 miliardi di dollari per Miss Sixty (ora cinese)

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Ipo da 5 miliardi di dollari per Miss Sixty (ora cinese)

Le onde del destino possono essere le più crudeli. Nel giro di due giorni, nel dicembre del 2011, il gruppo Sixty, che nei suoi ventuno anni di vita aveva fatto amare i suoi jeans e la sua moda pop made in Italy in tutto il mondo, piangeva la scomparsa del suo fondatore e vulcanica mente creativa, Wichy Hassan, e vendeva la sua ricca branca asiatica a Mr. Jacky Wu, fondatore del gruppo di abbigliamento cinese Trendy International. Holding di Guangzhou, nata solo nel 1999, che oggi, forte anche dei suoi marchi italiani Miss Sixty, Energie e Killah, starebbe valutando una quotazione in Cina, lanciando una Ipo con l’obiettivo di raccogliere 5 miliardi di dollari.

Quella cessione fu una scelta dolorosa, ma che si era resa necessaria perché la malattia di Hassan in primis e, in parte minore, la crisi iniziata nel 2008 avevano inferto dolorosi colpi alle finanze del gruppo. In quel freddo dicembre 2011 sembravano un remoto ricordo i tempi in cui Miss Sixty, il brand principe del gruppo, sfilava durante la fashion week di New York, appena tre anni prima, in programma subito dopo Diane Von Furstenberg con Anne Hathaway sul front row ad ammirare quei coloratissimi modelli disegnati da Hassan, animato da una grande passione per l’arte pop e i fumetti che aveva declinato anche in un hotel-galleria d’arte a Riccione (e dove altrimenti?), il Sixty Hotel.

Era una storia iniziata nel 1983, in quel decennio rampante per la moda made in Italy, quando Hassan aveva aperto a Roma il suo primo negozio, “Energie”, assieme al socio, amico e ingegnere Renato Rossi, con il quale poi, sei anni dopo, aveva fondato il gruppo Sixty: nel giro di otto anni, nel 2007, il gruppo era arrivato a toccare i 700 milioni di fatturato, diffusa in 80 Paesi, aveva 2500 dipendenti nel mondo, cinque marchi in portfolio, uno stabilimento che lavorava a pieno ritmo a Chieti, e nel settore casual e sportswear era secondo solo alla Only the Brave di Renzo Rosso. In un’intervista, l’allora ad Rossi accarezzava già l’idea di toccare presto il miliardo.

Poi, era iniziato il declino: 542 milioni del 2008, 381,5 nel 2010, 293 nel bilancio 2011, mentre i debiti salivano, fino a sfiorare i 300 milioni. E dopo due anni di discussioni con le banche, nonostante un aumento di capitale da 40 milioni sottoscritto dai due fondatori appena prima della scomparsa di Hassan, i manager di Sixty firmavano quell’accordo con Trendy International, che aveva scoperto quello stile grazie alla passione per la moda italiana della moglie di Mr. Wu, la giovane signora Shanhu Li, e che voleva rilanciarlo proprio in Cina. Nel 2012, poi, tutto il gruppo è stato ceduto a Crescent HydePark, fondo d’investimento panasiatico legato a Trendy.

A distanza di cinque anni, appunto, la notizia è che Trendy sta pensando alla Borsa, obiettivo da raggiungere entro la fine del 2017. E di certo, se nel giro di quattro anni ha raddoppiato il numero dei suoi negozi in Cina e in Asia, e ha attratto anche l’interesse di L Capital Asia, società di investimento controllata da Lvmh, che ne ha comprato il 10% per 200 milioni. Il gruppo cinese ha oltre 3mila negozi in Asia, con un ambizioso piano di espansione. E possiede altri brand di moda donna come Five Plus e Ochirly. Il fiore all’occhiello è l’assett Miss Sixty con i suoi marchi che tanto piacciono alle teen ager in Giappone, Corea del Sud e in Cina.

Come dire, gli italiani hanno il genio creativo. Ma a volte, oltre confini molto lontani, c’è chi è capace di capire, cogliere e valorizzare il made in Italy. E soprattutto di profittarne.

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