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Effetto Bolloré sulla strategia di Fininvest

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Effetto Bolloré sulla strategia di Fininvest

Vincent Bollore
Vincent Bollore

La retromarcia di Vincent Bollorè sul progetto Vivendì Mediaset (niente più la pay-tv, ma un nuovo obiettivo rappresentato da un pacchetto del 15% della società di Cologno Monzese) sconvolge tutta la galassia Fininvest. E mette alla prova strategia ed equilibri interni alla dinastia di Arcore. Con conseguenze ancora da decifrare.

Se dovesse saltare l’operazione Vivendi, per la Fininvest verrebbe meno uno dei due pilastri dell’architettura immaginata per il futuro dell’impero della famiglia Berlusconi. Ma anche nello scenario in cui la controllata di Fininvest dovesse cedere alla richiesta di Bolloré, amico personale di Silvio Berlusconi, Vivendi avrebbe una quota tale nel gruppo televisivo (che ha un flottante molto alto, pari al 50%) tale da condizionare le strategie dell’azienda.

Negli ultimi due anni la cassaforte di Berlusconi ha infatti imboccato una strategia a doppio binario: da una parte mettere fieno in cascina e fare cassa. Un trend, quest’ultimo, che in molti hanno spiegato con la necessità di costruire un tesoretto in vista di una futura successione. Dall’altra, consolidare i core business, impostando una visione strategica per i prossimi 10 anni.

Sul primo punto, ovvero la costante creazione di liquidità, in casa Fininvest da tempo sono state chiuse alcune cessioni. Complice anche il fatto che a fine settembre l’ex Cavaliere compirà 80 anni e la successione è ormai un tema sul tavolo quantomeno da definire. Spicca in proposito la vendita di un pezzo di Mediaset (per 380 milioni): la cessione di una quota di Ei Towers (per 280 milioni) e la piattaforma Digital + (più un 10% di Premium) finita agli spagnoli di Telefonica (per 100 milioni).

Fin qui quello già fatto. Ma ci sono che le operazioni in corso. E tra questa rientra evidentemente anche la partita del Milan. Il possibile valore di realizzo è stato stimato nell’ambito delle diverse trattative avviate da Berlusconi intorno a un miliardo di euro. E allo stato attuale la pista cinese sembra comunque quella più concreta. Non è chiaro se Berlusconi riuscirà a spuntare un prezzo così generoso. Ma è altrettanto vero che il Milan, comunque, se e quando sarà ceduto, porterà nuove risorse nelle casse di Fininvest. Nell’impero restano invece al momento fuori da possibili ragionamenti di disimpegno le quote in Mondadori e Mediolanum che continua a rappresentare una partecipazione finanziaria che garantisce ritorni interessanti.

Quanto, invece, al secondo punto, ovvero al consolidamento dei business in essere, si va dall’affondo (anche se fallito) di Ei Towers su RaiWay, per creare un polo italiano delle torri tv (ora riproposto con la Inwit di Telecom Italia); il matrimonio di Mondadori con Rcs Libri e i new media di Banzai. L’ultimo tassello doveva essere proprio Mediaset «promessa sposa» di Vivendi, con lo scambio azionario del 3,5%(più il «conguaglio» di Mediaset Premium), da tutti interpretato come il primo passo di un futuro matrimonio. Ma anche, letto negli ambienti finanziari, come un segnale di un possibile disimpegno che se in passato non era mai stato preso in considerazione, oggi appare più verosimile nel medio-lungo periodo. Il recente cambio della guardia al vertice, con l’uscita dello storico manager Pasquale Cannatelli e la nomina di Danilo Pellegrino, sembrava sancire in qualche modo la chiusura del cerchio.

Il dietrofront dei francesi, dunque, rimette in discussione tutta la strategia. E potrebbe, forse, anche accelerare quel processo che, secondo alcuni osservatori, vedrebbe Silvio Berlusconi più orientato a costruire un impero finanziario che industriale, con la famiglia sempre più nella posizione di azionista senza ruoli operativi al comando. Un modello già adottato da grandi dinastie italiane, dagli Agnelli fino ai Benetton. E che, evidentemente, semplificherebbe in modo sensibile la gestione di una eredità così importante come quella costruita dal Cavaliere.

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