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Banche trattate come se fossero nella recessione più nera

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L'Analisi|l’ANALISI

Banche trattate come se fossero nella recessione più nera

Nella follia iconoclasta che pure ieri s’è abbattuta sulle azioni del settore bancario europeo, il titolo più malmenato è di certoBanca Intesa. Perché una societàche vede salire l’utile trimestrale del 22%, che distribuirà un dividendo del 10% sui risultati 2016 e che s’è rivelata la più solida tra le grandi banche del continente, avrebbe dovuto vedere il proprio titolo salire di un buon 10%, in condizioni di normale razionalità. Invece ha perso quasi il 4%, quando l’allarme sugli utili di Commerzbank (tra le peggiori negli stress test) ha prodotto un ribasso del 9% e l’uscita di Deutsche Bank e del Credit Suisse dal paniere dello Stoxx50 s’è risolta in perdite del 5-6%. Si direbbe che non c’è giustizia, se non fosse che sui mercati si ragiona con logiche che spesso hanno poco a che fare con i fondamentali.

Quelle che hanno imperato ieri sono state dettate unicamente dalla volontà di vendere tutte le attività sui mercati europei e giapponesi e con particolare veemenza le banche e i titoli finanziari. Sembra un paradosso che tale furia si sia manifestata proprio dopo i positivi, nel complesso, risultati degli stress test. Ma nella semplificazione operata principalmente dagli investitori anglosassoni, proprio quella prova avrebbe dimostrato la fragilità del sistema bancario.

Hanno prevalso, nei commenti, le critiche sul metodo: che gli stress test non hanno considerato l’avvento dei tassi negativi, che lo scenario recessivo ipotizzato è alquanto modesto; che i crolli di borsa potrebbero essere più violenti, che lo spread dei nostri Btp potrebbe allargarsi oltre i 100 punti immaginati. Ne consegue che il capitale degli istituti di credito non sarebbe adeguato a uno scenario davvero avverso e che, pertanto, dovrebbe crescere mediamente di un 50% circa. Ed è tutto (probabilmente) vero. Ma quello che non si dice è che lo stesso ragionamento dovrebbe valere anche per le banche americane che, in tutto il trambusto che ha assalito Europa e Giappone, sono calate appena dello 0,8%.

Il sistema americano, dopo i salvataggi e gli aiuti di Stato del 2009, è in effetti un po’ piùpatrimonializzato rispetto a quello europeo. Ma in termini di Cet1 è sostanzialmente allineato. Inoltre, negli Usa vigono regole più lasche nel contabilizzare le varie attività e su quelle dei derivati c’è una differenza addirittura del 30% sui valori di bilancio. Se una conclusione va tratta è che, dinanzi a una crisi come quella del 2008-2009, il quadro si presenta desolante per entrambe le aree, con la differenza che, mentre negli Usa banche, governo e Fed dispensano ottimismo, da noi si dà risalto soprattutto alle debolezze. Al di là del buon marketing, il sistema americano è comunque più redditizio, perché è diverso il modello di business
e perché in eurozona un credito sostanzialmente
più a buon mercato penalizza i margini reddituali. E in particolare sotto questo aspetto la concreta eventualità di tassi negativi aggraverebbe le prospettive per il sistema bancario.

Questa prospettiva è il motivo che più di ogni altro spiega la debacle di ieri e la delusione provocata dall’inazione della banca del Giappone con il rafforzamento dello yen e il rimbalzo dei rendimenti obbligazionari ha contribuito ad aggravare l’umore degli investitori anche sull’Europa. Nella semplificazione degli anglosassoni, eurozona e Sol Levante sono accomunati, entrambi oppressi da una cronica stagnazione economica e dalla deflazione. Con le banche centrali sempre più restie ad accelerare nelle politiche dei tassi negativi o nelle soluzioni da helicopter money invocate per puro opportunismo dai mercati, la soluzione passerebbe per politiche fiscali più aggressive, ma di difficile attuazione in presenza di troppo elevati debiti pubblici.

È questa sensazione che ieri ha disordinatamente prevalso sulle borse europee e su Tokyo (il future sul Nikkei è sceso di un altro 2,5% a mercati chiusi) e nel Vecchio continente s’è scaricata soprattutto sulle banche italiane, considerate l’anello debole del sistema euro. A nessuno è sfiorata l’idea che proprio le banche italiane, uscendo mediamente bene dagli stress test, dopo una recessione ben più profonda e più ostinata degli altri Paesi core, hanno anche dimostrato una non comune resistenza alle avversità. E, diversamente dagli istituti britannici, francesi, tedeschi e spagnoli, non hanno nemmeno contato sugli aiuti di Stato. Antonio Foglia, il numero uno di un gruppo bancario e finanziario (Banca del Ceresio) che opera in prevalenza da Londra e dallaSvizzera, è convinto che davanti a una recessione comequella patita in Italia fino a poco tempo fa, parecchie banche tedesche e britanniche avrebbero dovuto ricorrere nuovamente al sostegno pubblico per restare in piedi.

Ma verso l’Italia, la speculazione internazionale si sta muovendo come se il Paese fosse già entrato in uno scenario ben più avverso di quello ipotizzato dagli stress test. Questo dei mercati è un gioco che si fa sempre più pericoloso e a breve potrebbe intorbidare anche le presunte virtù del sistema bancario americano, che finora ha mostrato una discreta resistenza. Da inizio hanno ha perso il 10%: tre volte meno del settore in eurozona e 5 volte meno di quanto s’è visto a Piazza Affari.

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