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Veneto Banca, il gioco di prestigio dei «prestiti baciati»

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BUFERA SU VENETO BANCA

Veneto Banca, il gioco di prestigio dei «prestiti baciati»

(Ap)
(Ap)

Una sorta di inedito neologismo sta comparendo nelle cronache giudiziar-bancarie con sempre maggiore frequenza. Segnatevelo perchè ne sentiremo parlare ancora. Sono le cosiddette operazioni “baciate” o meglio i prestiti baciati. Sono il cuore dell’inchiesta della Procura di Roma che ha portato ieri agli arresti dell’ex domunis di Veneto Banca Vincenzo Consoli. Più che un bacio si è rivelato un sonoro drammatico schiaffo sia per i clienti dell’istituto che alla fine anche per la stessa banca finita sull’orlo del crac. Perchè baciati e cosa sono?

Semplice, al cliente che chiedeva un mutuo, un prestito veniva concesso un ammontare più elevato o magari un tasso più favorevole a patto che comprasse azioni della banca. Titoli di una banca non quotata (che si autoassegnava un prezzo e come vedremo il più alto possibile) in cambio della concessione di credito. Una sorta di do ut des in cui il debitore di Veneto Banca si trasformava automaticamente in azionista. Con tutti i rischi che questo comporta e che nelcaso di Veneto Banca, ma anche della Popolare di Vicenza (stesso modus operandi) ha finito per veder azzerato il valore di quelle azioni. Una pratica quella dello scambio mutuo-azioni che come documenta ampiamente l’inchiesta giudiziaria e prima ancora i verbali ispettivi della Banca d’Italia, durava da anni e che andata accelerando negli anni dei recenti aumenti di capitale dei due istituti veneti.

LA STORIA DI VENETO BANCA

La ratio di questo modus operandi era di patrimonializzare (artificialmente) l’istituto in contemporanea all’erogazione del credito. Meglio ancora: più impieghi producevi più ti capitalizzavi. Non è un caso che sia Veneto Banca che la Popolare di Vicenza abbiano aumentato i propri volumi di erogazione negli anni della crisi, quando l’intero sistema bancario era nel pieno del credit crunch. Banche attente al territorio, banche vicine all’economia reale si è detto. In realtà l’incentivo ad aumentare la dotazione patrimoniale più facevi credito era il motivo portante di questa magnanimità delle banche venete.

Lo dicono i dati sulla pessima qualità del credito accumulata dalle due banche che hanno visto un’impennata record delle sofferenze e degli incagli. I soli crediti malati netti (cioè già svalutati) sono arrivati prima del salvataggio di Atlante a valere per Veneto Banca quasi 5 miliardi, il 22% dell’intero portafoglio. Numeri analoghi per Vicenza e un record tra le grandi banche. E questo al di là delle svalutazioni miliardarie imposte dalle Autorità negli ultimi 2 esercizi. Svalutazioni imposte d’ufficio dopo che sia Veneto Banca che Vicenza si ostinavano a tenere in bonis molti di questi crediti. Basti pensare che solo per Veneto Banca, l’ispezione di Bankitalia del lontano 2013 aveva accertato sofferenze e incagli più alti di 1,2 miliardi di quelli dichiarati a bilancio dalla banca di Montebelluna. Si evitava di svalutare per cercare di mascherare il reale stato di salute dei conti delle due banche venete che erano malmesse da tempo. Un modo per giustificare quei valori stratosferici che sia Veneto Banca che Vicenza assegnavano alle loro azioni.

Al picco delle valutazioni (a crisi conclamata per tutte le banche) sia Veneto che Vicenza si assegnavano valori pari a oltre 1,5 volte il loro patrimonio netto, quando pressochè tutte le banche quotate valevano lo 0,5 del capitale. Prezzi irrealistici viste le fortissime perdite sui crediti fatte registrare, ma era a quei prezzi che furono collocate le costosissime azioni ai clienti “baciati” dal prestito in cambio di titoli. Un corto-circuito perverso: i soci-clienti hanno visto nella drammatica escalation della crisi delle due banche andare in fumo l’intero investimento. Sono 10 miliardi persi dai 200mila clienti-soci delle due ex Popolari venete. La banca, avendo capitale finanziato da stesso ha dovuto sottrarlo dal suo patrimonio nel calcolo dei requisiti di Vigilanaza. Per Vicenza la deduzione è stata di quasi un miliardo, mentre per Montebelluna ilpatrimonio non conteggiato è stato di 290 milioni. Tanta fatica per nulla in uno spericolato gioco di prestigio finanziario in cui alla fine hanno perso tutti.

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