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Intesa, più sinergie tra Imi e corporate

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Intesa, più sinergie tra Imi e corporate

  • –Marco Ferrando

Banca Imi e il Corporate & investment banking di Intesa Sanpaolo proseguono sulla via della reciproca contaminazione. Nella consapevolezza che «più lavorano insieme e meglio è», come dice il responsabile di divisione (e ceo di Imi), Mauro Micillo. Il nuovo riassetto, di caselle e di persone, porta la sua firma - insieme a quella di Gaetano Miccichè, presidente di Banca Imi - e di fatto si pone in continuità con l’organizzazione varata due anni fa, che aveva visto affidate alle cure di quattro divisioni le 5mila aziende clienti, tutte con fatturato superiore ai 350 milioni. Ora un passo avanti nella direzione della semplificazione, con una sola direzione global corporate (affidata a Marco Rottigni), a cui faranno capo tutte le imprese, e che verrà affiancata da un’altra direzione dedicata all’estero (responsabile Gianluca Cugno, provenienza Banca Imi), con l’obiettivo di ampliare il perimetro della clientela ma soprattutto di incrementare la penetrazione del gruppo con le aziende che già oggi si servono di Intesa Sanpaolo o utilizzano prodotti Banca Imi.

L’approccio «è stato più riformista che rivoluzionario», sottolinea Micillo, perché «qui non c’è da stravolgere nulla, ma al massimo da sfruttare ancora di più un modello di business che ci ha consentito di crescere anche in un periodo tutt’altro che facile, in cui buona parte dei nostri competitor ha dovuto fare i conti con un calo di volumi e profitti». Il modello, appunto, sta nell’integrazione sempre più piena tra le due anime della divisione: la rete dei bankers del corporate e la fabbrica prodotti di Banca Imi. «Ora l’unica direzione consentirà di essere ancora più efficaci nell’avvicinamento al cliente», sottolinea Micillo. Che, per favorire la cross fertilization tra le due aree e la contaminazione di stili e competenze, ha costruito un organigramma che vede diversi cambi di casacca: è così, ad esempio, che la direzione Financial institutions è stata affidata ad Andrea Mayr, prima in Banca Imi, mentre Francesco Introzzi, già direttore Pianificazione del Cib, è diventato anche coo della banca d’investimento; e sempre da Banca Imi sono state selezionati sei diversi team di senior origination banker, che avranno il compito di affiancare la rete del corporate facendo leva sulla vasta conoscenza dei prodotti.

Obiettivo del riassetto, salvaguardare (e migliorare) il contributo della divisione e di Banca Imi al gruppo guidato da Carlo Messina. Un apporto, quello di Banca Imi, che - stando ai dati diffusi ieri - nel secondo trimestre ha toccato i massimi da inizio 2015 in termini di risultato netto (234,6 milioni) e nel semestre ha mostrato una crescita dell’8,4% sullo stesso periodo 2015: 440,6 milioni di utile a fronte di ricavi stabili a 909 milioni, una voce dentro alla quale spicca soprattutto il buon andamento dei ricavi da trading (+12,5% a 453,6 milioni); in lieve aumento i costi perativi (+1,6% a 222,3 milioni), per un cost/income che resta vicino al25%.

Completata la riorganizzazione, nei piani futuri della divisione c’è l’espansione della rete estera, che dopo le recenti aperture a Istanbul e San Paolo in Brasile punta a Doha, Abu Dhabi e Giacarta, a cui potrebbe aggiungersi l’Australia. Esclusi, per ora, interventi su Londra: «Trattandosi di una filiale e non di una subsidiary, la Brexit non ha comportato alcun problema specifico», spiega Micillo. Altro focus, le banche: escluso ogni intervento sul fronte dell’m&a, Banca Imi resta concentrata sugli Npl, anzitutto a fianco di Banca Carige, Creval, Sparkasse e di Popolare di Bari, con cui sta seguendo la prima operazione che dovrebbe avvalersi delle Gacs: «È un’asset class tra le più importanti in Italia, su cui intendiamo giocarci fino in fondo il vantaggio competitivo costruito in anni di cartolarizzazioni e securization».

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