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Piazza Affari, i fondi nuovi arbitri dei riassetti

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Piazza Affari, i fondi nuovi arbitri dei riassetti

Milano, Piazza Affari (Olycom)
Milano, Piazza Affari (Olycom)

Forse non saranno (ancora) diventati gli attori protagonisti, ma ormai sono gli arbitri dei grandi riassetti che vanno in scena a Piazza affari. Da Rcs Mediagroup, passando per UniCredit e Mps, gli istituzionali, soprattutto quelli con passaporto internazionale (che rappresentano ben il 90% dei soggetti che investono sulla borsa italiana), sono il nuovo ago della bilancia di una finanza ormai orfana delle logiche da salotto.

Giusto ieri è emerso che Antares era presente all’assemblea di Cairo Communication del 18 luglio scorso con il 2,9% del capitale. Antares è lo stesso fondo che ha sensibilmente contribuito al successo dell’Opas targata Urbano Cairo sul gruppo che edita il Corriere della Sera. In sede di offerta, infatti, aveva messo a disposizione dell’imprenditore alessandrino il proprio 3,5% del gruppo editoriale.

La vicenda Rcs rappresenta peraltro solo la coda di un fenomeno che da qualche tempo sta tenendo banco sul listino principale e che, con ogni probabilità, diventerà un elemento imprescindibile delle prossime tornate assembleari e non solo.

Basti ricordare la recente vicenda Ansaldo Sts, con l’hedge fund Elliott che ha condotto una lunga e dura battaglia con Hitachi per costringere il gruppo a rivedere il prezzo dell’offerta pubblica di acquisto. Un confronto serrato che potrebbe ripetersi in futuro su nuove situazioni. Il Monte dei Paschi, prossimo a mettere in cantiere un nuovo aumento di capitale, il terzo in tre anni, non potrà non tenere conto del peso dei fondi: solo il 10% del capitale della banca è “tracciabile”. È evidente, quindi, che il successo della prossima iniezione di liquidità è nelle mani degli investitori istituzionali: senza un supporto pressoché unanime in sede di assemblea straordinaria, attesa per il mese di ottobre, al ceo Fabrizio Viola sarà difficile - poche settimane dopo - presentarsi a battere cassa sul mercato. Dove a dettar legge sono, appunto, gli istituzionali.

Stesso discorso vale per UniCredit. Così come sono stati arbitri nel riassetto al vertice, prima sostenendo la lista Assogestioni guidata da Lucrezia Reichlin, poi premendo per una staffetta al timone dell’istituto (si veda l’altro articolo qui sotto), ora i fondi con ogni probabilità saranno giudici inflessibili del prossimo piano che il nuovo amministratore delegato, Jean Pierre Mustier, dovrà mettere su carta entro il quarto trimestre 2016.

E per continuare, Telecom è da tempo un “osservato” speciale dei grandi fondi esteri. Nonostante la presenza di un socio forte quale Vivendi che detiene oltre il 20% del capitale, gli istituzionali da qualche anno fanno sentire in maniera sempre piuttosto distinta la propria voce.

«Le presenze e le scelte di voto confermano non solo che gli investitori istituzionali sono sempre più attenti alle controllate italiane, ma anche più responsabili», osserva Andrea Di Segni, founding manager e capo del corporate advisory di Sodali, proxy leader in Italia. Così, come detto, dal nuovo atteggiamento dei fondi nascono, di riflesso, nuovi obblighi in capo alle società, soprattutto in termini di trasparenza: «Per ottenere il supporto degli istituzionali non solo serve un corredo informativo adeguato e tempestivo, ma anche una presa di contatto diretta». Soprattutto quando in ballo ci sono assemblee straordinarie, magari in cui si votano nuovi piani industriali: «Bisogna aiutare i fondi a capire, a superare quella fisiologica comprensione approssimativa delle vicende di casa nostra». In pratica, «oggi molto più di ieri le società sono obbligate a fare operazioni per il mercato, chiare e capaci di creare valore».

Vale per tutti: banche, società industriali, utilities, la galassia delle partecipate del Tesoro. Direttamente, cioè votando in assemblea, o indirettamente, agendo sul titolo, i fondi sono pronti a far valere le loro ragioni o il loro peso. Sono gli stessi numeri, peraltro, a confermare la forte ascesa dei capitali esteri sul listino italiano e il conseguente attivismo crescente. Stando ai più recenti dati di Borsa Italiana, preso a campione circa il 70% del Ftse Mib, il 38% del capitale è in mano ai fondi stranieri. Ciò significa che hanno investito sulla piazza finanziaria del paese oltre 100 miliardi di euro rispetto a una capitalizzazione complessiva della Borsa di Milano di 470 miliardi. Sono dunque una fetta assai rappresentativa del capitale quotato. Al punto che,stando a un’elaborazione di Sodali, in quasi il 50% delle società del Ftse Mib i fondi sono determinanti per raggiungere il quorum costitutivo dell’assemblea straordinaria (nel 33% dei casi di quella ordinaria).

Un’evoluzione monitorata anche dalla stessa Consob. Durante l’ultima relazione annuale il presidente Giuseppe Vegas ha rimarcato il ruolo avuto dalla Commissione nella recente transizione del sistema finanziario italiano «da un modello “relazionale” verso un modello di mercato, contraddistinto da una maggiore apertura degli assetti di controllo, da una più ampia presenza di investitori esteri e da una più attiva partecipazione degli investitori istituzionali alla vita societaria». «Il “piccolo mondo antico” del nostro capitalismo relazionale si sta progressivamente sgretolando», aveva chiosato Vegas.

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