Finanza & Mercati

Dubai chiude la crisi di Palm Island

  • Abbonati
  • Accedi
In primo piano

Dubai chiude la crisi di Palm Island

  • –Simone Filippetti

Correva l’anno 2005: le superstar David Beckam e la di lui consorte Victoria Adams (una delle ex Spice Girls) comprano casa a Dubai: una delle ville super-lusso a Palm Island, isola artificiale a forma di palma, emblema dello sfarzo degli Emirati. La notizia fa il giro del mondo: i Beckham sono la coppia più glamour del momento, campeggiano sulle copertine di tutti i rotocalchi. Cafonata ultra-kitsch o nuova meta mondiale del lusso, quelli erano gli anni del boom a Dubai che, come tutta la turbo-finanza, ruotava attorno al mercato immobiliare. Dubai non ha il petrolio della sorella (e vicina) Abu Dhabi, e così ha costruito il suo benessere come paradiso delle vacanze, per vip e aspiranti celebrità. Il mercato immobiliare, dunque, è l’unica vera industria dell’emirato. Passano solo quattro anni e quella «Las Vegas» sorta in mezzo al deserto arabo (in soli 20 anni) rischia di trascinare tutto il mondo nel baratro: la Dubai World, società immobiliare di Palm Island (la stessa del faraonico progetto The World, 300 isole a forma di mondo, mai andato in porto) esplode schiacciata da un debito di 80 miliardi di dollari. Conseguenza dell’esplosione dei famigerati mutui-spazzatura americani (i sub-prime) e del collasso di Lehman Brothers. La stessa Dubai è stata a un passo dal crack: Dubai World era controllata da Nakheel, il braccio immobiliare della famiglia regnante, il colosso immobiliare che di fatto ha costruito tutta la città. Dopo sette anni, Dubai esce definitivamente dalla crisi: pochi giorni fa è stata ripagata l’ultima tranche di debito. Ci sono voluti 84 mesi per lasciarsi alla spalle il dissesto immobiliare e risanare un debito complessivo da 16 miliardi di dollari.

Con un’offerta da bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, Dubai aveva avanzato ai creditori di mezzo mondo una proposta drastica: haircut (taglio del debito) del 40% per ristrutturare una maxi-esposizione da 22 miliardi di dollari di Dubai World. Un rimborso di 60 centesimi per ogni dollaro di debito, e in più spalmato su un periodo di sette anni. E i sette anni sono scaduti. Così domenica scorsa (che nei paesi islamici è un normale giorno lavorativo), Nakheel ha staccato un assegno da 1,2 miliardi di dollari (4,4 miliardi di Dirham), rimborsando l’ultimo di una serie di bond emessi per finanziare i rimborsi. Erano dei Sukuk, bond islamici (ossia ammessi dalla sharia, che di regola vieta attività finanziarie ai fedeli musulmani).

Scoppiata a fine novembre 2009 la bolla immobiliare, Dubai World aveva inizialmente invocato, come prima contromossa, il congelamento per sei mesi del debito e degli interessi, pena il default immediato. A quel punto la investment company si era messa alla ricerca di compratori per reperire liquidità. Alla fine, però, solo un maxi-assegno da 10 miliardi dell’emirato cugino di Abu Dhabi, ha evitato a Dubai un crack devastante (e ha permesso la ristrutturazione del debito, che nessuno si sarebbe accollato). A eterna riconoscenza, l’emiro di Dubai gli dedicò il Burj Dubai, il grattacielo più alto al mondo (coi suoi 828 metri), che infatti oggi si chiama Burj Khalifa (in onore di Khalifa bin Zayed Al Nayan, presidente degli Emirati).

Dalla scorsa domenica, dunque, la Nakheel è una società senza più debiti. È arrivato il lieto fine? Non proprio. In tutti questi anni il valore degli immobili a Dubai è crollato del 50%, nelle zone più esclusive (e del 30% nel resto della città): centinaia di progetti abbandonati e decine di vip che hanno protestato per chiedere indietro soldi di case e appartamenti mai costruiti. Molti altri, meno vip, hanno semplicemente perso i loro soldi. Il tracollo finanziario ha fatto fallire 1300 nuovi progetti immobiliari: di questi oltre mille non sono nemmeno mai partiti. Duecento circa i palazzi iniziati e mai finiti: ecomostri. Conseguenza che ha dato vita a un’altra ondata immobiliare: quella dei «fondi avvoltoi», investitori a caccia di grattacieli a saldo. Una nuova bolla rischia di gonfiarsi nella città del lusso sfrenato o si apre un'opportunità di investimento? Dopo l'esplosione della bolla finanziaria-immobiliare del 2010, nella Las Vegas araba lo skyline, dominato dagli 828 metri del Burji Khalifa, oggi è insidiato da centinaia di scheletri di cemento. Sul business degli scheletri di cemento, si è buttato anche il finanziere-immobiliarista Ernesto Preatoni, l’inventore di Sharm-el-Sheik.

E i Beckam? A Dubai la «royal couple» non si vede più in giro da tempo: anche perché, dicono gli informati di gossip, la casa da favola l’hanno regalata ai genitori di lei.

.@filippettinews

© RIPRODUZIONE RISERVATA