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Come proteggersi dalle «montagne russe» dei mercati

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INVESTIRE CON IL SOLE

Come proteggersi dalle «montagne russe» dei mercati

«Volatilità». A volte basta questa semplice parola oppure evocare il famigerato Vix - l’indice ormai popolarmente conosciuto che misura le aspettative dei movimenti sui listini azionari Usa e con essi identifica per convenzione anche la stessa tensione - per spaventare i risparmiatori o per permettere a molti gestori di giustificare le performance non troppo lusinghiere di certi fondi di investimento. Dire che i prezzi delle attività sui mercati finanziari - azioni, bond, valute e materie prime - si muovono è però di per sé una tautologia, perché in fin dei conti lo fanno ogni giorno.

Il problema, semmai, è capire se le variazioni di queste settimane siano più o meno ampie rispetto al solito (cioè alla media storica) e soprattutto come questi movimenti vengano poi in realtà percepiti da chi cerca di proteggere il proprio denaro. Sul primo aspetto occorre fin da subito mettere in chiaro che in questa estate la volatilità sull’azionario è ai minimi storici, o molto vicina a essi. Lo stesso Vix, che rileva la volatilità attesa sull’indice S&P 500 di New York in base alle opzioni quotate al Chicago Board Options Exchange (Cboe), è sceso nei giorni scorsi sotto i 12 punti: a questi livelli negli ultimi anni era arrivato soltanto nell’estate del 2014 e nel 2006, prima che la crisi finanziaria dei mutui subprime (e del crack Lehman) agitasse acque insolitamente così calme.

La volatilità effettiva, cioè quella che si è realizzata nelle ultime 30 sedute, viaggia ancora più in basso (circa 5 punti) e la cosa non deve certo sorprendere perché l’S&P 500 è ai massimi storici e soprattutto perché in appena 5 delle giornate in questione si è visto quello stesso indice di Wall Street salire o scendere più dello 0,5 per cento. Eppure la sensazione che si respira fra gli investitori è ben differente, un paradosso che ha essenzialmente due spiegazioni.

La prima è che la stessa volatilità, pur essendo inferiore alle medie storiche, appare decisamente più marcata nel Vecchio Continente: attorno ai 20 punti se si guardano gli indicatori relativi al Dax di Francoforte o all’indice paneuropeo EuroStoxx 50 e addirittura sfiora i 27 punti per l’indice Ftse Mib Ivi (acronimo quest’ultimo che sta per «implied volatility»). Tutti viaggiano insomma su un livello superiore anche al mercato svizzero o a quello londinese, e non è certo un caso se pure questi ultimi hanno performance migliori da inizio anno.

La seconda ragione è legata più in generale alla fase attuale di mercato e soprattutto all’opera delle Banche centrali che, inondando di liquidità i listini ormai da quasi 8 anni, hanno sortito un doppio effetto: oltre quello di abbassare la volatilità stessa anche quello di ridurre drasticamente (se non azzerare o addirittura rendere negativi nel caso dei bond sovrani o corporate) i rendimenti ottenibili con la gran parte delle attività finanziarie. E quando la prospettiva dei guadagni è tutto sommato limitata è anche normale che gli investitori diventino più sensibili alle variazioni di prezzo, per quanto queste siano in fondo di ampiezza più contenuta rispetto al passato.

La prima regola per ridurre la volatilità la si dovrebbe mettere però in atto al momento di costruire un portafoglio. Maggiore è la diversificazione fra le tipologie finanziarie che si inseriscono al suo interno e teoricamente più equilibrate sono le sue performance, pur tenendo conto del fatto che nell’attuale fase di mercato trovare investimenti fra loro davvero decorrelati non è operazione semplice. Altro accorgimento utile,che dipende però dalle disponibilità di ciascun risparmiatore, è evitare di impiegare il denaro a disposizione in un’unica soluzione. I piani di accumulo (possibili per fondi, ma replicabili anche su singole azioni o bond) permettono infatti di mediare fra gli alti e i bassi di mercato e di evitare di dover «azzeccare» il momento giusto di entrata o di uscita.

Utilizzare la volatilità come una vera e propria classe di investimento a sé stante è un’ulteriore opzione possibile, e sarebbe anche in teoria un’ipotesi sensata nell’attuale situazione. È infatti quando gli strumenti legati alla volatilità quotano su livelli così ridotti che vale la pena acquistare la «protezione». Prendiamo per esempio il classico Vix, che in genere si muove in senso diametralmente opposto all’indice S&P 500 e in maniera improvvisa: inserirlo in portafoglio adesso che lo si paga poco potrebbe rivelarsi davvero utile per bilanciare le eventuali perdite che si dovessero realizzare sull’azionario Usa e in generale su quello globale.

Da qualche tempo strategie di copertura simili, tipiche degli investitori istituzionali, sono sulla carta a disposizione anche del risparmiatore attraverso strumenti che replicano l’andamento del cosiddetto «indice della paura» come ad esempio alcuni Etf (anche a leva) quotati anche a Piazza Affari. Il problema, in questi casi, è che si tratta di prodotti che, per quanto a portata di mano e semplici nel funzionamento, possono risultare anche terribilmente complicati (se non addirittura dannosi) se finiscono in mani poco esperte.

«L’investimento sulla volatilità è un’opzione riservata agli operatori qualificati e non ai risparmiatori retail perché gli strumenti a disposizione sono pochi, alcuni dei quali sono a leva e possono avere in un lasso temporale anche molto breve variazioni di valore impressionanti», avverte Riccardo Milan, Partner di Advisory Capital Strategies Partners, che a supporto della sua tesi fornisce un esempio concreto: «Uno strumento di tale specie quota oggi il 30% in meno rispetto al giorno in cui è stato reso noto l’esito del referendum sulla Brexit». Subire un danno da un prodotto che si pensa di acquistare a scopo di protezione sarebbe addirittura una beffa.

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