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Petrolio, il rally di agosto si è già sgonfiato: Brent a 45…

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Petrolio, il rally di agosto si è già sgonfiato: Brent a 45 dollari

(Olycom)
(Olycom)

Dopo il rally di agosto, sui mercati petroliferi sembra essere tornato il pessimismo. Anche ieri le quotazioni del barile hanno subito una batosta, ampliando il ribasso da inizio settimana a oltre il 9 per cento: una caduta che non si vedeva da gennaio - quando il petrolio era crollato sotto 30 dollari, ai minimi da 12 anni - e che ha già quasi cancellato l’eccezionale performance del mese scorso. Il Brent, che il 19 agosto si era spinto fino a 51,22 dollari al barile, è tornato vicino a quota 45 dollari.

Il tam tam dell’Opec sulla possibilità di un intervento a sostegno del mercato non si è tacitato. Dopo l’appoggio (teorico) al congelamento della produzione offerto martedì dal premier iracheno Haider Al-Abadi, ieri è toccato al ministro degli Esteri saudita Adel Al-Jubeir cercare di rinfocolare le aspettative: tra i Paesi coinvolti nelle trattative, ha detto, «c’è uno spostamento verso una posizione comune, verso uno sforzo comune». «Se vogliamo avere un impatto - ha aggiunto il ministro - dobbiamo tutti assumerci le nostre responsabilità. Negli ultimi 5-6 mesi credo che sia aumentata la consapevolezza che si tratta di uno sforzo collettivo».

Poche ore prima era tornato a parlare anche il ministro saudita del Petrolio, Khalid Al Falih, rassicurando con un’intervista alla tv emiratina Al Arabiya che Riad non ha intenzione di inondare il mercato di greggio: «Il mercato ora è saturo di scorte di petrolio. Non vedo il bisogno che nel prossimo futuro il regno saudita raggiunga la massima capacità (12,5 milioni di barili al giorno contro l’attuale produzione record di 10,7 mbg, Ndr)». Secondo lo stesso Al Falih la domanda in Cina è «in ottima salute» e i consumi indiani sono «molto buoni», ma le politiche produttive dell’Arabia Saudita «manterranno un alto grado di responsabilità»: Riad si limiterà a «soddisfare le richieste dei clienti, che siano all’estero o all’interno del regno».

Le dichiarazioni saudite stavolta non hanno sortito l’effetto sperato. Il petrolio ha perso oltre il 3% sia mercoledì sia ieri, quando Brent e Wti hanno chiuso rispettivamente a 45,45 e 43,16 dollari al barile, il minimo da tre settimane.

Sull’umore degli investitori potrebbero aver influito le dichiarazioni, di ben altro tono, arrivate dalla Russia. Il ministro dell’Energia Alexander Novak - che all’inizio dell’anno era stato uno dei maggiori sostenitori del piano per congelare l’output - stavolta si mostra molto più freddo: «Prezzi intorno a 50 dollari sono prezzi normali. Se scendono, allora potremmo esaminare la questione in modo più attivo - ha detto Novak all’agenzia russa Ria Novosti - Siamo sempre aperti alla discussione e al monitoraggio della situazione. Bisogna vedere se è utile».

Un ruolo cruciale nel deprimere i prezzi del petrolio l’hanno comunque giocato anche i fondamentali, tornati in primo piano con gli ultimi dati sulle scorte americane (si veda il Sole 24 Ore di ieri). Tra greggio e prodotti raffinati, gli Stati Uniti non hanno mai avuto stoccaggi così pieni in agosto. E l’accumulo non solo non si interrompe, ma sta addirittura accelerando a ritmi del tutto inattesi: l’aumento degli stock di distillati la settimana scorsa è stato dieci volte più grande di quanto previsto dal consesus degli analisti, le scorte di greggio (+2,3 milioni di barili) sono cresciute più del doppio delle attese.

Anche i consumi americani, benché robusti, corrono meno di quanto si pensasse. L’Energy Information Administration (Eia) ha adottato un nuovo sistema di raccolta dei dati, che d’ora in avanti - assicura - le consentirà di conoscere l’andamento delle esportazioni quasi in tempo reale. Ma il vecchio metodo aveva portato a stime settimanali grossolane: l’export era stato in media sottostimato del 16%, ha ammesso la stessa Eia.

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