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Mosca può aiutare a sciogliere il nodo Iran

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L'Analisi|analisi

Mosca può aiutare a sciogliere il nodo Iran

È dagli anni ’80, quando c’era l’Unione Sovietica, che Mosca prova ad avvicinarsi con buone intenzioni all’Opec. Di concreto però, non si è mai visto nulla. Già allora era ai primi posti per produzione di petrolio con 10 milioni di barili giorno, volumi che scesero pesantemente con il crollo del comunismo, ma che sono risaliti negli ultimi anni a nuovi record oltre 11 mbg. Attualmente la produzione della Russia è seconda sola a quella degli Stati Uniti che, grazie alla rivoluzione della fratturazione idraulica, è aumentata di 4 milioni barili giorno a oltre 12 mbg. L’Arabia Saudita, leader dell’Opec, viaggia anche lei verso nuovi record, con 10,7 mbg proprio in queste settimane: un livello mai raggiunto in passato, nemmeno all’inizio degli anni ’80 quando fu chiamata a supplire agli ammanchi di Iran e Iraq che erano in guerra. Tenuto conto che gli Stati Uniti usano tutto ciò che producono, necessitando poi di altri 8 milioni barili giorno di importazioni, sono Russia e Arabia Saudita i primi esportatori al mondo, ciascuno dei due con circa 8 milioni di barili giorno.

Il mercato mondiale può essere quantificato in circa 60 milioni di barili giorno, con il resto, per arrivare ai consumi totali di 96, rappresentato da domanda locale nei paesi produttori. Insieme i due contano per un quarto del mercato mondiale e qualsiasi loro iniziativa viene seguita con attenzione dal mercato. La decisione di rafforzare la collaborazione per stabilizzare le quotazioni è un altro buon intendimento che si colloca all’interno di un maggiore attivismo militare, politico e anche economico di Putin in Medio Oriente. I prezzi attualmente sono intorno a 47 dollari per barile, quasi il doppio rispetto ai minimi di 27 $ di fine gennaio, ma sono ancora meno della metà di quei 100 dollari su cui sembravano essersi per sempre stabilizzati fra il 2011 e il 2014. Lo scorso febbraio, proprio per arginare una caduta che sembrava poter portare sotto i 20 dollari, la Russia è intervenuta con l’impegno di bloccare la produzione sui livelli di gennaio, accordo poi condiviso anche dall’Arabia Saudita, ma non dall’Iran. Riuscì poi anche a convocare un incontro per il 16 aprile a Doha, che però è miseramente fallito per il rifiuto di Iran di partecipare.

Proprio questo è il nodo della matassa Opec e del mercato petrolifero di questi due anni di caduta dei prezzi. Fino a che i due principali e storici opponenti all’interno dell’Opec - Riad e Teheran - non troveranno un accordo, allora la produzione non scenderà e i prezzi continueranno a rimanere deboli. L’unico aspetto positivo dell’attivismo russo è proprio quello di intervenire nel complicato intreccio mediorientale, come mediatore fra Iran e Arabia Saudita; finora, però, i risultati sono stati deludenti. L’Iran vuole tornare a produrre sui livelli precedenti le sanzioni del 2012, ossia 4 mbg, ma difficoltà tecniche, per carenza di investimenti in passato, gli impediscono di salire dagli attuali 3,6 mbg.

I russi non sono in grado di ridurre la produzione, in quanto le caratteristiche tecniche dei loro giacimenti lo impediscono. Al massimo potranno stabilizzare gli aumenti, cosa più facile, visto che i bassi prezzi degli ultimi due anni di fatto hanno bloccato gli investimenti in nuovi progetti. Si capisce che mettano in campo tutte le loro forze per far pressione sui sauditi, loro sì capaci di aprire e chiudere i rubinetti. Il Pil della Russia nel 2015 ha segnato un calo del 3,7% e quest’anno sarà ancora in recessione con un -1,7%, il tutto a causa del crollo del prezzo del petrolio. Circa il 60% delle entrate da esportazioni derivano da energia, circa due terzi da quelle di petrolio, un altro terzo da gas. Nel complesso contano per il 16% del Pil, quota che fa della Russia una delle economie, al di fuori dell’Opec, più dipendenti dal petrolio. Il 75% del totale dei 200 miliardi di metri cubi di gas venduti all’estero ogni anno vanno all’Europa, dove i prezzi in queste settimane fanno registrare nuovi minimi verso i 12 euro per megawattora. Con queste quotazioni i grandi progetti di espansione della capacità di esportazione, fra cui il Turkish Stream, dovranno essere rivisti. Dovessero invece riprendersi le quotazione del barile, allora anche quelle del gas seguirebbero, migliorando in un istante le prospettive della sofferente economia Russa.

L’Opec nel frattempo sta segnando nuovi record produttivi a 33,5 mbg, livelli mai toccati in passato e superiori di circa 5 mbg rispetto alla media di lungo termine. Alla prossima riunione informale del 26 settembre ad Algeri si tornerà a discutere di un possibile congelamento o addirittura di un leggero taglio. Un aiuto arriva dalla domanda che sta salendo, aggiungendo ogni anno circa 1,2-1,4 mbg. Basterebbe molto poco ai sauditi per risollevare il mercato, ma se non accade a settembre, sarà solo rimandato di qualche settimana.

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