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Allo studio l’aumento di capitale senza diritto d’opzione

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Allo studio l’aumento di capitale senza diritto d’opzione

Per Montepaschi l’orizzonte borsistico non si profila per nulla tranquillo. Le dimissioni dell’ad Fabrizio Viola, per il mercato, trasformano in certezza quella che era già più di una possibilità. E cioè che i tempi della prevista ricapitalizzazione sono destinati a slittare a inizio 2017, a gennaio o forse febbraio. Nel frattempo il titolo potrebbe perdere altro terreno in Borsa, mentre il piano finanziario approvato a luglio è ancora in fase iniziale di confezionamento. Il consorzio bancario, guidato da Jp Morgan e Mediobanca, che per ora non garantisce il possibile inoptato - a quanto risulta a «Il Sole-24Ore» - punta a ridurre l’ulteriore richiesta al mercato a 1,5-2 miliardi rispetto ai 5 miliardi complessivi di cui la banca senese ha sicuro e immediato bisogno. Si sta ragionando, come noto, su una proposta, esclusivamente su base volontaria, da inoltrare ai detentori di bond subordinati di Mps - 5 miliardi suddivisi pressoché in parti uguali tra investitori istituzionali e retail - affinchè convertano le loro obbligazioni in azioni.

Non è chiaro con quale meccanismo si pensi di allettare i bondholder per accettare di diventare azionisti, in teoria assumendo maggiori rischi. Ma l’attesa delle banche che assistono Mps è di poter ottenere per questa via almeno la metà dell’equity necessario a mettere in sicurezza l’istituto.

Un altro “contributo” - dell’ordine di mezzo miliardo - verrebbe da un investitore qualificato che accettasse di rilevare una quota rotonda, togliendo in tutto almeno 3 miliardi dall’importo da raccogliere sul mercato indifferenziato. Operazione comunque non priva di incognite, dato che la banca senese capitalizza in Borsa appena 700 milioni e che dal 2008 in avanti ha già battuto cassa per 15 miliardi.

A quanto risulta, a questo punto l’ipotesi è quella di confezionare un aumento di capitale privo del diritto d’opzione a favore dei vecchi azionisti, rivolgendo l’offerta a tutto il mercato. Per farlo, però, occorrerà proporre al mercato un piano industriale davvero convincente che offra concrete prospettive di ritorno alla redditività. Piano indispensabile anche per convincere l’ipotetico investitore da 500 milioni a salire a bordo.

Per questo sarà importante non solo procedere in tempi rapidi alla sostituzione di Viola, ma anche assicurarsi che la qualità del nuovo management sia in grado di godere di credibilità sul mercato. In un momento in cui tutti sono consapevoli che il destino di Mps è appeso anche all’esito del referendum costituzionale sulla riforma del Senato. I broker più esperti sono convinti che un eventuale no alle urne renderebbe ancor più difficile realizzare il piano finanziario presentato a luglio perchè la speculazione, a torto o a ragione, cavalcherebbe l’effetto Brexit sulle quotazioni di Piazza Affari. E Montepaschi sarebbe destinato a farne le spese più di altri. Da quando, a inizio luglio, l’Economist ha recitato il de profundis per le banche italiane, l’istituto toscano è stato incapace di sottrarsi all’avvitamento che l’ha portato a cedere più dell’80% del suo valore da inizio anno, con una performance negativa del 13% dal 6 luglio a ieri, quando invece per esempio UniCredit - pure alle prese con problemi di ricapitalizzazione e ridefinizione del perimetro di business - ha messo a segno nello stesso periodo un rimbalzo dell’ordine del 35%.

Ad ogni modo, fonti bancarie assicurano che l’impianto del piano finanziario approvato a luglio - con la cessione degli Npl e i 5 miliardi di rafforzamento patrimoniale - non cambierà col nuovo ad. Questo farebbe presupporre che non è probabile che la scelta cada sull’ex banchiere di Intesa Corrado Passera, promotore di un progetto alternativo che Mps non aveva accolto.

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