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Se il mercato ha dubbi sull’efficacia delle banche centrali

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L'Analisi|L’ANALISI

Se il mercato ha dubbi sull’efficacia delle banche centrali

Ascoltano con attenzione, soppesano ogni parola, pendono dalle labbra dei banchieri centrali. E reagiscono sempre, con velocità fulminea, a ogni sillaba che esce dalla loro bocca. Ma, in fin dei conti, i mercati finanziari sembrano credere sempre meno a quello che le banche centrali dicono o alla loro capacità di raggiungere gli obiettivi prefissati. Sia negli Stati Uniti, dove i tassi di mercato non sono affatto coerenti con ciò che la Federal Reserve afferma di voler fare. Sia in Europa, dove le aspettative sull’inflazione continuano a scendere nonostante gli sforzi della Bce e l’andamento (quest’anno in rialzo) del petrolio. Insomma: gli investitori ascoltano i banchieri centrali, ma sempre più spesso fanno poi orecchie da mercante. O, addirittura, cercano di spingere le banche centrali a fare ciò che i mercati vogliono.

Il caso statunitense è quello più clamoroso. Attualmente i titoli di Stato Usa con scadenza nel 2018 offrono un rendimento a chi li acquista dello 0,75%. Peccato che da qui al 2018 i banchieri centrali presenti nel direttivo della Fed abbiano detto che ritengono opportuno portare i tassi ufficiali intorno al 2,37%. Insomma: se Janet Yellen e i colleghi della Fed rispetteranno le previsioni sui tassi che loro stessi fanno, chi oggi compra quel titolo di Stato è destinato ad avere un rendimento fuori mercato. Troppo basso. Dunque a perdere molti soldi. Questo significa che il mercato non crede che la Fed farà quello che oggi dice (come del resto è già accaduto in passato): quello 0,75% mostrato oggi dal titolo di Stato Usa sconta infatti a malapena un solo rialzo dei tassi Fed di 0,25 punti dall’attuale livello di 0,25-0,50%. Nulla di più. La Fed dice una cosa, ma il mercato si prepara per qualcosa di molto diverso. E spera di costringere la stessa Fed a tornare sui suoi passi.

Il caso europeo è meno eclatante, ma comunque altrettanto degno di nota. Il mercato (si veda il grafico sotto) è convinto che in un arco temporale di 10 anni l’inflazione resterà molto bassa: all’1,28% medio annuo. Ben sotto l’obiettivo della Bce, che è vicino al 2%. E ben sotto le aspettative dello staff di Mario Draghi, che già per il 2018 prevede un tasso all’1,6%. L’aspetto più interessante è che le previsioni di mercato continuano a scendere, nonostante lo sforzo immane della Bce che ha già stampato mille miliardi di euro proprio per far risalire il caro-vita: a inizio anno il mercato si aspettava, sempre in un arco decennale, un’inflazione media annua dell’1,57%, mentre ora si limita all’1,28%. Gli investitori non credono dunque che l’inflazione tornerà a salire. E lo stesso messaggio arriva dai rendimenti dei titoli di Stato a lungo termine, sempre più bassi e sempre più coerenti con una prolungata stagnazione che con una ripresa di inflazione ed economia.

Bene inteso: il mercato può sbagliare. Non sarebbe la prima volta. Per di più i rendimenti dei titoli di Stato sono tenuti “artificialmente” bassi dall’eccezionale quantità di liquidità: è normale che gli investitori, pieni di soldi che non sanno più come investire, acquistino titoli Usa (che rendono comunque più di quelli europei di analoga rischiosità) oppure titoli a lunga scadenza (con l’effetto di abbassare i loro rendimenti e di appiattire la cosiddetta curva dei tassi). Le indicazioni che arrivano dal mercato sono insomma esasperate da questo fattore tecnico. Ma il fenomeno del disallineamento tra mercato e banche centrali resta.

È la stessa Bce, in uno studio recente, a rilevare che le aspettative future di inflazione sono sempre più influenzate dall’inflazione attuale che dall’azione delle banche centrali. E negli Usa il tema della divergenza tra le previsioni del mercato e le indicazioni della Fed è dibattuto da tempo. Il rischio è però che questo disallineamento riesca, prima o poi, a minare la credibilità stessa della politica monetaria. Il pericolo (da evitare) è che i mercati si convincano davvero che l’azione delle banche centrali resterà in parte inefficace oppure un semplice bluff.

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