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Deutsche Bank e quei 20 miliardi andati in fumo

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TRA CAUSE E SVALUTAZIONI

Deutsche Bank e quei 20 miliardi andati in fumo

Definirla la “maledizione” di Deutsche Bank può sembrare fin eccessivo, ma come chiamare altrimenti quella lunga teoria di cause legali, contenziosi, multe, sanzioni varie che affliggono la prima banca tedesca ormai da molti, troppi anni? In fondo incappare nella giustizia dopo la crisi Lehman è capitato un po’ a tutte le grandi investment bank mondiali.

Dai colossi Usa alle big britanniche pressoché nessuno è rimasto immune dalle ricadute giudiziarie e dagli oneri economici connessi alle “malefatte” della turbo-finaza. Quella dei mutui subprime, ma anche quella della manipolazione dei tassi d’interesse o dei cambi. Ma anche le denunce per la vendita di prodottti opachi. Mescolate tutto e avrete quello che va sotto il nome di oneri per le “litigation” come li chiamano gli anglosassoni. Si truffa, si viene denunciati, si va a processo si viene condannati o si transa prima, ma alla fine si paga conto. E quel conto salato è quello che più di tutti sta mettendo in ginocchio la Deutsche Bank. Solo di oneri spesati per le cause la Deutsche ha inanellato numeri da brivido. E in crescendo tra l’altro. Secondo le rielaborazioni di CapitalIq le spese sono ammontate a ben 13 miliardi di euro tra il 2011 e il 2015. Con il picco record toccato l’anno scorso, l’anno del bilancio in rosso per 6,7 miliardi, dove gli oneri per le litigation sono stati di 5,2 miliardi. Le stime indicano in 2 miliardi le spese attese per l’intero 2016, ma questo prima dell’ennesima doccia fredda di ieri. Una vera e propria zavorra sui conti complessivi del gruppo tedesco.

Ma non solo. C’è un altro capitolo tra le partite straordinarie che continua a pesare sui bilanci del colosso di Francoforte. Sono le svalutazioni degli avviamenti (le attività acquisite anni prima il cui valore viene rettificato) che rappresentano l’altra zavorra che erode la redditività netta. Negli ultimi 4 anni le perdite sugli avviamenti sono state di 6,6 miliardi. Un cocktail micidiale a erodere la redditività della banca. Già, perché sono questi i principali elementi che danneggiano i conti di Deutsche. Sul fronte infatti dei ricavi la prima banca tedesca ha mostrato di saper tenere la barra. La crisi Lehman non ha impattato su questo fronte. I ricavi totali stazionano dal 2011 in poi ben sopra il livello dei 30 miliardi di euro. Non crescono, ma neppure scendono. I problemi per i vertici della banca nascono nelle righe sotto del bilancio. Certo ci sono le svalutazioni delle sofferenze, ma non pesano più di tanto. Su oltre 30 miliardi di ricavi le perdite sui crediti sono ammontate negli ultimi 2 anni attorno al miliardo. Il vero tema come si è detto è proprio in quelle voci che dovrebbero essere di natura straordinaria ma che ormai sono diventate strutturali.

Solo per le cause e per le svalutazioni delle attività siamo a un dato cumulato di 20 miliardi che potrebbero salire a 27 miliardi nel 2016 secondo le elaborazioni di CapitalIq. Se il quadro è questo non stupisce che Deutsche soffra ormai da anni una sorta di coda Lehman che ne ha abbassato pesantemente la redditività. Il buco da 6,8 miliardi del 2015 è solo l’epilogo di una lenta decrescita della profittabilità. Nei tre anni dal 2012 al 2014 la banca ha cumulato utili netti per soli 2,5 miliardi, poco più della metà degli utili prodotti in un solo anno il 2011. Da lì in poi il declino. E questo senza contare quella zona d’ombra che accompagna la banca ormai da anni remoti e su cui il mercato mantiene un atteggiamento di perplessità.

Tra i grandi gruppi bancari la Deutsche è una della banche con il più alto livello di titoli illiquidi in portafoglio. La banca stessa se li “autoprezza” e assegna un valore di 31 miliardi a quei titoli di difficile valutazione. Quel livello non è mai sceso negli ultimi anni. Come se fossero congelati a vita. Ma il problema è che quei titoli valgono da soli quasi la meta dell’intero capitale della banca. Finchè non si dovrà metterci mano (smobilizzandoli ad esempio) nessun impatto reale. Ma se solo si dovesse toccare quella montagna di titoli tossici congelati, allora l’effetto sul patrimonio potrebbe essere devastante. Nessuno lo sa e nessuno sa quanto, ma di certo è una zona grigia che non piace per niente al mercato.

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